Comincio una chiacchierata con un giovane studente di economia. Siamo a tavola, appena finito un pranzo a base di fior di latte e passiamo a un intenso dibattito sui cocomeri o angurie. Lui spara un’affermazione quasi banale ma che mi emoziona: “È la legge dell’offerta e della domanda”. Cosa? Ho sentito bene? Sento l’entusiasmo accendersi. C’è una speranza, nel mondo. Siamo in Italia e il ragazzo mi ha appena detto che “è la legge dell’offerta e della domanda”! Da questo momento della storia, pochi sanno già di cosa parliamo. Gli altri stanno affermando: ma che vuol dire? È una banalità, un’abitudine. Anche il ragazzo si arrischia su questo piano. Ma sul punto sono implacabile. Comincio a fargli una serie di complimenti. Lui si imbarazza. Ma continuo. Il punto è che porre l’offerta prima della domanda è proprio segno di aver capito davvero la lezione economica. Sono disposto a far raffreddare il cocomero. In principio c’è l’offerta, perché l’offerta più vasta e ampia possibile è alla base della libertà.
Sono libero di scegliere se ho alternative. Il che non vuol dire necessariamente che lo Stato non si frapponga in mezzo. Nel mercato del tabacco è vero che le sigarette sono soggette a tassazione pesante, ma è anche vero che sono tutte disponibili nello stesso bancone e a prezzi sostanzialmente pari ai loro obiettivi di mercato. Scelgo liberamente. Esiste un quasi monopolio dei tabacchi nel mondo. Ma attiene alla complessità delle norme che in tutto il mondo sono state prodotte sull’intero settore agro industriale. Sta di fatto che lo stesso quasi monopolio continua a conservare caratteristiche di brand elevato. Anche nel ricordare che il consumo di tabacco porta a una serie di malattie, compreso il cancro. È il consumatore a scegliere, i produttori a sforzarsi di blandirlo e conquistarlo.
Ma in Italia, e spesso in Europa, la logica è domandista. Anteporre la domanda all’offerta è atto intellettuale foriero delle più grandi truffe intellettuali delle quali siamo vittime. Se la domanda viene prima dell’offerta, i produttori sono chiamati a rispondere ai desideri del consumatore. In sostanza, i produttori devono produrre secondo le quote di consumo già espresse, con gusti già consolidati. Il mercato, in questo caso, diventa una cappa, un sistema chiuso e prevedibile, caccia via l’innovazione. L’approccio domandista è passato, vecchio, immobile. Guarda caso, il nostro Paese vive proprio di questo. Al Governo, ci sono maggioranze rigorosamente domandiste. Da decenni. L’era berlusconiana è stata quella della pubblicità e del marketing delle ricerche di mercato. Ma anche le ricerche di mercato sono vecchie. La loro utilità esiste finché indagano sull’esistente, sul già passato. Anteporre un’espressione all’altra implica un vero capovolgimento della realtà. Con esiti davvero potenti, nel bene e nel male.
Il domandista dà per scontato che gli equilibri del mondo sono eterni. Sono i citazionisti del Gattopardo. Nulla cambierà mai. Spariamo oltre e dentro l’atmosfera migliaia di satelliti. Il domandista dirà: sì, va bene, ma in fondo cosa è cambiato? Tutto, ma lui negherà sempre. Il domandista afferma che la globalizzazione è un processo che ci spossessa del diritto di scelta. La sua analisi parte dall’idea che se tutto è già conosciuto, ci deve essere qualcuno che ha organizzato la globalizzazione. E allora si butta sull’idea di smontarla e quindi vede in Vladimir Putin uno che lotta contro la globalizzazione organizzata dai sette Savi di Sion o una setta confuciana. I suoi strumenti culturali gli impediscono di comprendere che la globalizzazione è figlia delle interazioni serrate tra otto miliardi di individui, grazie al potenziamento tecnologico. La globalizzazione è esito inatteso di un’innovazione considerata l’espediente quasi commerciale come Internet o, più tradizionalmente, la moneta che rende possibili gli scambi su base pacifica.
Ho detto al mio giovane amico che mi ha emozionato. Dal cocomero siamo passati a guardare alla politica estera mondiale con occhi diversi. Le parole sono importanti. E se ci fosse una differenza tra sinistra e destra, sarebbe finalmente corretto spiegare che sinistra sono gli offertisti, gli innovatori, i libertari. Gli altri, a destra, sono i domandisti, che vogliono barricare la realtà e cercano un ritorno nel bozzolo tranquillo di una realtà statica ma violenta. Perché, dicono loro, novelli Joseph Marie de Maistre e Thomas Hobbes, il mondo è delle potenze che si combattono per il possesso del territorio. Vivono in un’economia fisiocratica, da sette-ottocento. Gli offertisti, invece, vedono il mondo come è oggi, comprendono la centralità della libertà. Pensano che la collaborazione sociale produca una ricchezza inesauribile solo se c’è la libertà. Se le potenze regolassero le loro strategie attraverso il mercato, anche gli eserciti si ridurrebbero di numero. In Europa, nell’ultimo ottantennio lo abbiamo visto bene. Ora, con una fetta di rinfrescante cocomero tra le mani, sei offertista o domandista? Da questa risposta dipende la visione del mondo che hai.
Aggiornato il 18 luglio 2024 alle ore 11:56