La liberalizzazione incompiuta

Sulle locazioni commerciali la Cassazione si pronuncia sul decreto “sblocca-Italia”

Con una recente decisione, resa nel giudizio relativo all’affitto dell’Hotel Executive di Milano, la Corte di Cassazione ha aperto uno spiraglio nel muro impenetrabile, e ormai datato, del regime vincolistico delle locazioni non abitative. Ciò ha fatto muovendosi nell’ambito del perimetro tracciato dal decreto “Sblocca Italia” del 2014, il quale ha liberalizzato le “grandi locazioni” commerciali, ossia quelle il cui canone annualmente pattuito sia superiore a 250mila euro. In tali casi, hanno rilevato i medesimi giudici: “La posizione delle parti non soffre gli squilibri che il legislatore ha ritenuto tipicamente sussistenti riguardo a contratti stipulati per canoni inferiori alla predetta soglia” e, di conseguenza, è consentito di stabilire liberamente la “clausole su durata minima, rinnovo automatico, prelazione, recesso per gravi motivi, indennità a fine locazione, indicizzazione o aumenti del canone”. Il che esclude che siffatto contratto possa essere dichiarato invalido, atteso che “la nullità prevista dall’articolo 79 della Legge sull’equo canone costituisce espressione della “natura fortemente protettiva della ratio della Legge numero 392 del 1978, pervasa dalla figura della parte debole, identificata automaticamente e sempre nel conduttore”.

Ebbene, se da un lato detta timida apertura verso la liberalizzazione degli affitti, espressa in sede legislativa e ribadita poi in quella giudiziaria, può essere salutata con favore: è comunque un segnale, seppure iniziale, di un mutato atteggiamento nei confronti della proprietà immobiliare; dall’altro non si può fare a meno di notare come venga mantenuta una chiusura ideologica preconcetta nei confronti di un settore come quello delle locazioni di immobili urbani a uso diverso da abitazione che avrebbe invece necessità di essere completamente liberalizzato e si continui altresì a differenziare tra una parte forte e un’altra debole. Tanto assumendo frettolosamente e senza alcun fondamento scientifico che nel mercato delle locazioni la domanda sia anaelastica, ossia che l’innalzamento del prezzo non provochi, al tempo stesso, una riduzione della medesima domanda, che l’accesso al mercato di nuovi proprietari offerenti sia sempre molto difficile e manchi dunque qualunque concorrenza potenziale e, infine, che i proprietari siano in grado di fissare canoni locativi indefinitamente alti. In realtà, dovrebbe essere ormai acquisito che anche in subiecta materia la disciplina giuridica e i profili economici non operano su piani differenti, di modo che sia possibile, mediante la legislazione, intervenire nei rapporti e modellarli secondo un disegno preordinato senza che ciò abbia riflessi sul comportamento dei soggetti che vi prendono parte e intervengono nel mercato, offrendo o domandando immobili in locazione.

Né che sia possibile aumentare l’offerta di case o negozi, calmierare i canoni di locazione, offrire opzioni abitative adeguate agli inquilini o locali commerciali ai conduttori moltiplicando la legislazione, inserendo vincoli e controlli, conferendo sempre nuovi poteri a politici, burocrati e magistrati. Invero, gli aspetti giuridici ed economici si intersecano inscindibilmente e si condizionano reciprocamente, come ha rilevato l’economista austriaco Friedrich von Wieser, secondo cui: “Il diritto privato, questo modello insuperato di elaborazione concettuale, è diritto patrimoniale, diritto dell’economia; le sue formule giuridiche sono impastate di elementi di economia”, e ribadito nei seguenti termini dal conterraneo economista Eugen von Böhm-Bawerk: “Non esistono letteralmente nessun prezzo e nessuna distribuzione, che non abbiano un risvolto storico-giuridico, tranne che non siano l’effetto di atti di vero e proprio brigantaggio o di cose simili”.

A sua volta, Bruno Leoni ha sottolineato: “Quando ci mettiamo a proteggere il più debole, il più debole diventa automaticamente il più forte e ciò avviene ipotizzando che esista un dominio reale da parte di chi offre nei riguardi di chi domanda”, in stretta analogia con quanto Karl Marx aveva scritto sul rapporto tra proprietario dei mezzi di produzione e forza-lavoro, e in definitiva a discapito della libertà individuale e ponendo ostacoli alle interazioni volontarie delle parti e al corretto funzionamento del mercato. È pertanto necessario affrontare la questione muovendo dalla circostanza e dalla constatazione che occorre far combaciare i citati due aspetti e assumendo correttamente che il mercato delle locazioni immobiliari funziona esattamente come tutti gli altri mercati di beni e servizi, ed è concorrenziale, ossia è un processo dinamico di rivalità e competizione che si svolge nel tempo. Lo stesso è quindi assoggettato alla sovranità dei conduttori-consumatori e produce un flusso sempre maggiore di beni, di qualità migliore e a prezzo sempre minore, che rende possibile un incremento dello standard di vita per tutti sia dal punto di vista qualitativo sia da quello quantitativo.

In tale mercato, l’offerta di immobili in affitto da parte dei proprietari deve fare i conti innanzi tutto con l’elasticità della domanda, ma anche con le opportunità che le loro decisioni possono produrre e producono, qualora decidano di aumentare i canoni o mutare le altre condizioni contrattuali, a favore di altri proprietari, i quali affretterebbero a soddisfare la domanda offrendo canoni e condizioni migliori rispetto ai primi. La concorrenza, in sostanza, spinge i prezzi verso il basso e fa aumentare così il numero di persone che può permettersi di prendere un immobiliare in affitto o di trasferirsi velocemente in un altro. I proprietari e i costruttori, dal canto loro, sono incentivati a produrre nuova offerta, a offrire migliori condizioni, servizi aggiuntivi, innovativi, per attirare più clienti ed espandere la loro quota di mercato. In argomento, è istruttivo quanto ha scritto Luigi Einaudi: “In un mercato libero nessuno fa quel che vuole, né i produttori, né i consumatori. Il Governo aumenta l’imposta sulle case? Tutti dicono: i proprietari non soffrono nulla, bastando ad essi aumentare i fitti. Errore. I proprietari desiderano sì aumentare i fitti; ma se l’avessero potuto fare li avrebbero aumentati senza aspettare lo stimolo dell’accresciuta imposta. Se non l’avevano fatto, ciò era accaduto perché gli inquilini non si possono prendere per il collo. Se i fitti aumentano, ci si restringe in appartamenti di un numero di stanze minore; si rinuncia a certe comodità; si va a vivere nei sobborghi. Vengono fuori alloggi sfitti; e se si vogliono affittare, i proprietari devono pure decidersi ad abbassare i canoni di locazione. I proprietari non possono fare quel che vogliono. Devono ubbidire al mercato”.

Se quanto sopra indicato non accade è sempre per ragioni di carattere politico e per gli interventi operati tramite la legislazione di controllo degli affitti, che è praticamente sconsigliata da tutti gli economisti, i quali hanno sempre ritenuto il loro impiego un “autentico flagello”, giacché rende straordinariamente complesse le relazioni di mercato, sposta risorse e crea carenze, modifica i prezzi e porta sempre richieste di intervento statali in altri settori dell’economia, produce numerose altre conseguenze negative. Rebus sic stantibus esiste una sola via d’uscita: liberalizzare gli affitti. Come del resto sta chiedendo L’Opinione delle libertà con la richiesta di una legge di iniziativa popolare per l’abrogazione della legge dell’equo canone, che ancora alle soglie del mezzo secolo di vita dalla sua emanazione, imprigiona gli affitti commerciali.

Aggiornato il 11 giugno 2024 alle ore 17:45