La decadenza degli Usa e i drammi globali conseguenti: le previsioni di Toynbee

Arnold J. Toynbee, nel 1949, scrisse che le società non scompaiono per morte violenta ma per suicidio. La possibile implosione degli Stati Uniti sembra sempre più chiara come la regressione egemonica e culturale. Anche per gli Usa è giunto il momento di fare i conti con la storia, che nella loro sterile supponenza avevano cancellato. Anche per loro è giunto il momento del redde rationem, da anni evidente a una lettura meno superficiale e opportunistica del miracolo americano che mascherava la loro eutanasia culturale. La storia dimostra sempre la sua ciclicità e in che modo le società arrivano a un punto ottimo e poi cominciano a collassare. Questa ricorrenza storica è inflessibile nei meccanismi ma opera in modi e tempi diversi, a seconda del momento in cui un ciclo di vita di una società si sviluppa. L’implosione può durare a lungo come è stato nei tempi recenti per l’Impero britannico o come per quello russo ma quando comincia la china discendente è solo una questione di tempo.

La china discendente degli Usa è cominciata alla fine degli anni Settanta, quando lo spirito del cambiamento di una società che prendeva coscienza del suo malessere trovava interpreti come Martin Luther King e Robert Kennedy, entrambi assassinati nel 1968, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. Fu proprio Robert Kennedy nel commemorare la morte del primo a dire: “Non abbiamo certo bisogno di divisioni negli Stati Uniti, non abbiamo bisogno di odio, né di violenza o anarchia. Abbiamo, invece, bisogno di amore e saggezza, compassione gli uni verso gli altri, e di un sentimento di giustizia verso tutti coloro che ancora soffrono nel nostro Paese, siano essi bianchi o neri”.

Il richiamo di Kennedy suona oggi sinistro in una società che ha dimenticato la fraternità e l’uguaglianza, scritte con caratteri di fuoco nel suo emblema: “E pluribus unum”, una società che si è inventata la “democrazia oligarchica”, incapace di capire in quale fase della sua storia essa si trovi con una forma di tirannia della democrazia che diventa solo una drammatica foglia di fico. Arnold J. Toynbee, uno dei maggiori interpreti del ciclo di vita delle società, descriveva la fase finale del declino in questi termini: “Il loro crollo e la loro disintegrazione (delle società, ndr) comincia quando viene meno la creatività da parte delle élites di rispondere in modo nuovo alle sfide portate dall’esterno, lentamente la società comincia a collassare. La decadenza non dipende dalla paralisi delle facoltà mentali delle élites ma da un collasso della loro eredità sociale che interdice ogni efficace e creativa azione sociale. La decadenza è spirituale e morale e, di fronte al dramma, si inasprisce la violenza repressiva che non fa che accelerare la disgregazione” (In È tutta un’altra storia. Ritornare all’uomo e all’economia reale di Fabrizio Pezzani, Università Bocconi Editore, 2013, pagine 199/200).

Questa descrizione che Toynbee fa nel 1949 è la rappresentazione della fine, da troppo tempo annunciata ma mai considerata, che abbiamo davanti agli occhi. Come sempre succede si fa risalire il dramma della decadenza all’ultimo evento verificatosi come è stato l’attacco a Capitol Hill e l’attribuzione a Donald Trump di tutti i mali dell’America, ne ha ma non tutti; la ferocia con cui, al tempo, è stato attaccato dimostra l’ossificazione culturale di una classe dirigente che scambia l’accanimento come una forma di esorcismo contro il male che ha generato ma non riesce a capire. A questa ossificazione ha contribuito l’incapacità e la volontà di conservazione del potere come mostra oggi la candidatura di due presidenti inadeguati alle sfide globali che gli Usa devono affrontare, incapaci di trovare un cambio di strategia che non può più fondarsi su un imperialismo di guerra.

Gli stessi senatori non sono intercambiabili e una volta eletti lo sono di fatto per sempre impedendo un rinnovo che la “storia richiede, sempre pronti a seguire il mainstream finanziario fino alla fine richiamando il detto che chi di finanza ferisce di finanza finisce. In trent’anni hanno delocalizzato tutto in Cina. Costava meno ma hanno dissolto la loro manifattura e i posti di lavoro, così hanno creato la fabbrica del mondo che ora si ritrova di fronte con un potere che non sono in grado di controbattere. Hanno dato spazio illimitato a una finanza rapace che li ha divorati come una locusta creando disuguaglianza, povertà, disoccupazione. Fattori che hanno minato la solidità del sistema sociale ormai allo stremo, sono stati incapaci di rinnovarsi in un modello socio-culturale basato sull’esercizio del potere militare e finanziario che ha portato allo stremo è diventato un’eutanasia – il suicidio richiamato sopra.

Il colpo finale lo darà la bolla suicida del Quantitative easing portato a un volume incontenibile a una società che vive di transazioni giornaliere sul nulla, i daily traders, e ha dimenticato che solo il lavoro reale crea ricchezza. Non avendo altra cultura, Joe Biden, promette un rilascio di altri immensi volumi di carta stampata creata dal nulla per controbattere la povertà. I vertiginosi volumi di dollari creati aumentano nei mercati internazionali quando la loro domanda non cresce di pari passo rispetto all’offerta, allora saranno drammi seri ai quali sarebbe bene cominciare a pensare invece di continuare a gridare come se anche questo fosse un esorcismo contro la stupidità dilagante. A maggiore ragione la superiorità americana si trova ora a confrontarsi con il resto del mondo che è cresciuto ed ha acquisito una sua autonomia ed indipendenza come mostrano i Brics che si sono ulteriormente allargati con nuovi Paesi ammessi alla lista originaria; certo anche loro hanno gravi problemi ma un conto è avere problemi in una fase ascendente che avere problemi in una fase discendente in cui si mostra evidente l’incapacità di capire i cambiamenti necessari per riprendere un difficile cammino. Anche le guerre in corso dimostrano una strategia fallimentare e la mancanza di capire quando è ora di lasciare piuttosto che rilanciare verso rischi troppo gravi ed insostenibili.

In questo dramma storico e culturale, l’Europa per cui siamo chiamati a votare dimostra una passiva impotenza incapace di pensare di trovare un’aggregazione più forte e non lasciarsi andare ad una guerra che sembra quella dei polli di Renzo; l’atlantismo è una via da seguire e da condividere per migliorarsi da un confronto lucido e coraggioso ma non da subire con una sudditanza passiva e suicida perché, per riprendere Toynbee, anche l’Europa rischia il collasso sociale, culturale ed economico-finanziario. Un’Europa che si muove come il “Re Travicello” non va da nessuna parte se non verso il caos. Il Re Travicello è una poesia di Giuseppe Giusti tratta da Esopo e nella lingua italiana è diventata un’espressione idiomatica proprio grazie a questa poesia. Indica una persona che occupa una posizione importante o una carica ufficiale, ma che non ha autorità o capacità sufficienti a esercitarne il potere incapace di prendere posizione e soggetto ad ogni cambiamento che subisce senza governarlo.

(*) Professore emerito dell’Università Bocconi di Milano

Aggiornato il 11 giugno 2024 alle ore 17:31