La guerra in Ucraina si configura sempre di più per uno scontro socioculturale sulle diversità dei modelli di sviluppo. Da una parte il sistema occidentale e dall’altra parte il resto del mondo. Al primo afferiscono circa 1,2 miliardi di persone nelle economie avanzate, mentre al polo opposto se ne contano circa 6,7 miliardi. Si tratta di uno scontro tra economie basate sulla produzione ed economie sempre più basate sui servizi e sulla finanza: uno scontro tra economia reale ed economia finanziaria, un modello che a Occidente ha prevalso fino ad oggi, ma ora si trova di fronte ad un inesorabile declino. Il modello occidentale si è via via plasmato sulla rivoluzione finanziaria avviata nel 1971, quando Richard Nixon dichiarò che la stampa del dollaro sarebbe stata sganciata dal controvalore reale dell’oro mettendo fine al sistema monetario basato sul Gold exchange standard. La conseguenza fu la formazione di un “limbo” finanziario sganciato da qualsiasi bene concreto e reale, dove la stampa della carta moneta avviene all’infinito senza limiti o vincoli, mentre la finanza si muove in uno spazio etereo senza mai incontrarsi con il mondo reale, che rimane finito e misurabile. Due strade parallele.
È in tale contesto che nasce “Il tempo del dollaro”: per dare un qualche valore a una moneta ormai “eterea” infatti, gli Usa inventano il petrodollaro ed il sistema Swift, che obbligano i Paesi occidentali ad usare il dollaro rafforzandolo come moneta di riferimento. La svolta per la definitiva affermazione avviene poi con la caduta del muro di Berlino, che eliminando il principale avversario politico ed economico lascia campo libero al dominio della finanza e del dollaro come moneta globale di riferimento. La finanza diventa allora una verità incontrovertibile, e l’economia cambia il suo Dna e passa da scienza sociale a scienza positiva. Dice il premio Nobel 1994 Robert Emerson Jr Lucas: “I mercati finanziari non sbagliano mai nell’allocazione”. Cinque anni dopo Bill Clinton abolisce la Glass-Steagall Act, nata per tenere separate le attività delle banche d’affari da quelle commerciali e i lupi entrano nel recinto cominciando a creare le prime bolle finanziarie. La finanza diventa il mantra che consente il più rapido arricchimento, anche se finirà per distruggere il sistema occidentale, che sposa la finanza in modo assolutamente acritico. La finanza ed il dollaro infatti segnano un predominio negli equilibri globali, ma generano un crescente volume di debito e strumenti finanziari che rendono tale debito esplosivo. Con i derivati e con il sistema bancario ombra si arriva a 4 quadrilioni – quattro miliardi di miliardi – di dollari. E l’Occidente resta cieco. La fase finale di tutti gli imperi include sempre disavanzi e debiti eccessivi, inflazione, una valuta che crolla, decadenza e guerra, e l’occidente presenta tutti questi sintomi.
Agli inizi degli anni novanta salta anche il sistema delle repubbliche sovietiche, la Cina fa i primi passi nell’economia e il potere che si viene a creare nelle mani degli Usa non trova contrappesi a bilanciarlo alimentando la loro cultura della guerra come fattore di dominio e di sviluppo. Abbiamo le guerre del Kosovo, dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria, del Libano, che consentono di occupare ampie zone dell’est asiatico favorite dal complesso militare, industriale, politico e congressuale. La cultura finanziaria non ammette repliche e consente il più rapido arricchimento e così quote crescenti di produzione vengono dislocate in Paesi del Terzo mondo che hanno costi infinitamente bassi. La strategia onnipotente di conquista non percepisce il cambiamento a Oriente, sia della Cina e poi nei primi anni del 2000 anche della Russia e continua a smantellare l’attività manifatturiera per favorire i giochi della finanza. Gli equilibri però cominciano a cambiare e il modello comincia a deteriorarsi dall’interno, con le bolle finanziarie che si susseguono sempre più ampie e profonde, mettendo il sistema in un cul de sac: più è alto il debito infatti, più il debito ha bisogno di crescere alimentando un circolo vizioso senza fine.
È lo schema Ponzi a moto perpetuo. Fino a quando il sistema non può che implodere. Gli Stati Uniti infatti, sempre convinti della loro superiorità, cominciano ad allagare il sistema economico e finanziario di moneta fiat, cioè senza sottostante, e cominciano le prime bolle e le prime smagliature nelle tenuta del debito Usa e del dollaro come moneta di riserva globale, che dalla fine del Gold exchange standard ha perso oltre il 90 per cento in termini reali preparando la sua fase finale. Abituati a gestire la bilancia commerciale sulla tenuta del dollaro, gli Usa assistono le prime spaccature: il debito sul Pil si avvita a spirale, avvicinandosi al 140 per cento, crescendo più rapidamente del prodotto interno lordo e spingendo Paesi a dismettere le riserve di dollari a favore di altre monete oppure dell’oro. Illusi dalla loro superiorità militare e finanziaria, gli Stati Uniti perdono di vista gli equilibri interni, con il risultato che – di fatto – non hanno mai avuto un avanzo primario e la bilancia dei pagamenti presenta un debito di 53.312 miliardi di dollari contro una posizione attiva di 35.211.312 miliardi di dollari con un disavanzo di 18.101.312 miliardi di dollari. A sorpresa, se guardiamo alla Russia, troviamo invece conti ben più in ordine. Il suo rapporto debito/Pil è pari al 14 per cento, non ha debiti e presenta una bilancia commerciale positiva come la Cina. L’economia russa è dunque più sana di quanto di quanto ci viene raccontato con un deficit di bilancio del 2,3 per cento rispetto al 5,4 per cento degli Usa. Fino ad oggi tale precario equilibrio è stato sostenibile grazie al ruolo di moneta globale assunto dal dollaro, ma l’attuale contrapposizione sul campo di guerra sminuisce il predominio del dollaro nella denominazione dei prezzi di una buona parte di materie prime.
La sorte della finanza Usa ha contagiato anche i Paesi occidentali che hanno subito l’occupazione finanziaria acriticamente, seguendo la strategia statunitense sia per mancata indipendenza che per eccessiva sottomissione: abbiamo perso aziende che hanno fatto grande l’Italia e adesso ci si presenta il conto. Il ricorso senza limiti al Qe ha fatto stampare volumi di carta moneta fiat, ma la domanda di quella moneta si è ridotta avviando una svalutazione di fatto quando manovre come quella del petrodollaro non sono più ripetibili. Le conseguenze per i finanziamenti dei governi occidentali non saranno leggere: per decenni gli Usa hanno fatto affidamento sugli stranieri che accumulavano dollari per reinvestirli in TbUsa e la liquidazione di queste posizioni in un momento in cui i bilanci entreranno in recessione è destinata a salire. La vera sfida alla cultura occidentale della finanza viene portata dagli altri paesi dell’est e del sud del mondo che rappresentano la manifattura e l’economia reale e che sono stati capaci di sviluppare un modello alternativo alla finanza illusoria. Non c’è da stupirsi che nazioni importanti nel settore energetico stiano abbandonando la nave. I Brics e gli altri paesi stanno già preparando l’alternativa al dollaro con una moneta possibilmente legata all’oro ed un sistema monetario scollegato dallo Swift.
Questo grazie alla leva di economie che sono legate alla produzione di merci, dove le attività finanziarie sostengono attività non finanziarie con speculazioni finanziarie minime e dove il sistema è autosufficiente in termini di merci, materie prime e mano d’opera. A conferma del cambio la Cina ha accumulato oro per circa 23mila tonnellate, la Russia sembra ne abbia a disposizione 12mila, mentre gli Usa ne hanno ufficialmente 8mila. Questo oro è destinato a sostituire le valute fiat e la ripresa delle ostilità in Ucraina rischia di destabilizzare completamente un sistema finanziario già esposto al collasso. La struttura dell’economia americana e del suo debito non sono tali da consentire agli Usa il predominio globale e nuovi equilibri si vanno definendo. Forse la spinta alla guerra senza ricorso a forme di pacificazione in Ucraina rischia di essere una svolta negli equilibri globali.
(*) Professore emerito dell’Università Luigi Bocconi
Aggiornato il 22 maggio 2024 alle ore 12:40