Il Governo avanza sulle privatizzazioni, ceduto il 2,8 per cento di Eni

Dopo Mps arriva la volta di Eni. Il Governo Meloni va avanti nel piano delle privatizzazioni cedendo, ancora una volta con una procedura accelerata di raccolta ordini, una quota del 2,8 per cento del gruppo in mano al Mef che scende così sotto il 2 per cento del capitale (dal 4,797%). Per le casse del Tesoro si tratta di un’operazione per un valore di 1,4 miliardi di euro. Il controllo pubblico sul cane a sei zampe resta tuttavia assicurato dalla partecipazione di Cdp (la cui maggioranza fa capo allo stesso Mef con una quota di minoranza delle fondazioni bancarie) che detiene il 28,503 per cento.

Voci di una cessione della partecipazione erano circolate già lo scorso gennaio anche se l’Esecutivo, per voce del sottosegretario al Mef Federico Freni, aveva ricordato come “non c’è nessuna fretta di privatizzare ma che si privatizzerà bene, nei tempi giusti, nei momenti giusti” rispettando comunque l’obiettivo del Def di autunno 2023 che prevede, per i prossimi tre anni, cessioni pari all’1 per cento del Prodotto interno lordo. Un valore che, come ricordava l’osservatorio Cpi, corrisponde a circa 20 miliardi di euro. La decisione di cedere ora coglie anche il recupero del listino milanese e della stessa azione Eni che è tornata proprio attorno ai livelli di gennaio scorso (15,11 euro). La cessione, come comunicato nella serata di ieri, è avvenuta a un prezzo per azione di 14,855 per azione con un controvalore di circa 1,4 miliardi di euro.

Per il Tesoro quindi si tratta di un ulteriore passo nel cammino delle privatizzazioni, ancora più preziose in un momento in cui i conti pubblici devono affrontare da qui ai prossimi anni le alte spese per il Superbonus che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha definito “un Vajont”. La vendita della quota del 37,5 per cento Mps in due tranche, ha fruttato alle casse del Tesoro oltre 1,5 miliardi di euro aprendo poi l’interrogativo su cosa fare della restante quota del 26 per cento e, in definitiva, della banca senese: mantenersi come azionista della banca, cedere tutto sul mercato o agevolare una fusione con un altro gruppo per dare vita a un terzo polo bancario dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Per tornare alle privatizzazioni, il carniere delle società pubbliche o con rilevanti quote pubbliche, oltre a Eni e alla banca senese che potrebbero essere privatizzate anche solo in parte è nutrito: Enav, Enel, Poste, Leonardo cui si aggiungono quelle detenute da Cassa depositi e prestiti (fra cui Italgas, Terna, Snam Fincantieri). Operazioni che però devono fare i conti con la volontà politica e considerazioni sulla strategicità della partecipazione.

Aggiornato il 16 maggio 2024 alle ore 13:48