Non c’è alternativa al rigore dei conti pubblici

“Sul Superbonus è alta tensione tra Tajani e Giorgetti”, questo il titolo di un articolo pubblicato dall’Ansa. Il motivo del contendere è legato alle misure di contenimento della voragine creata dal Superbonus edilizio, messo in piedi dei geni del Governo giallo-rosso, che sta cercando di adottare il ministro dell’Economia. In particolare, a creare molte perplessità al leader di Forza Italia è la stretta prevista da Giorgetti, la quale imporrebbe a partire dal 2024, ossia dall’anno in corso, la detrazione in 10 anni. La qual cosa non piace a Tajani, in quanto interverrebbe in modo retroattivo su situazioni già in essere.

Anche le banche sono in subbuglio, dal momento che dal 2025 non è più possibile compensare i crediti del Superbonus con debiti previdenziali. La norma, che vale anche per gli istituti finanziari, non tocca invece le persone fisiche. Tutto ciò è frutto dell’emendamento spalma-detrazioni, fortemente voluto dal ministro leghista, al decreto Superbonus. Per tacitare un certo malumore nella maggioranza, e soprattutto tra i costruttori e i cittadini coinvolti nelle ristrutturazioni, il Governo ha spiegato che si tratta di una retroattività limitata. E alle esplicite riserve espresse dal vicepremier forzista, il titolare dell’Economia ha così replicato: “Io difendo gli interessi degli italiani”.

Sta di fatto che, al fine di comprendere la complicata situazione di chi è chiamato in prima persona a tenere sotto controllo i conti pubblici, è doveroso elencare alcuni numeri circa la situazione della finanza pubblica. Alla fine del 2023 il debito pubblico dell’Italia è sceso al 137,3 per cento del Pil rispetto al 137,9 per cento del terzo trimestre. Nell’Eurozona il rapporto debito-Pil è sceso all’88,6 per cento rispetto all’89,6 per cento del trimestre precedente. Il debito pubblico italiano si conferma al secondo posto tra i Paesi dell’area euro, dopo la Grecia al 161,9 per cento e davanti alla Francia al 110,6 per cento. Seguono la Spagna al 107,7 per cento e il Belgio al 105,2 per cento.

Ciononostante, abbiamo registrato il deficit di bilancio di gran lunga più alto dell’intera Unione europea, pari al 7,4 per cento del Pil. Basti pensare che nell’Eurozona il rapporto medio disavanzo-Pil nello scorso anno è sceso al 3,6 per cento, mentre la media dell’intera Ue è stata del 3,5 per cento. Tutto questo, in soldoni, ci dice che con un simile livello di deficit pubblico è impossibile stabilire una traiettoria di recupero per il nostro colossale indebitamento. Tant’è che persino la Grecia, nonostante un debito più alto del nostro, sotto questo importante aspetto è messa meglio dell’Italia.

D’altro canto, con un colossale fardello che sta per raggiungere i 3mila miliardi di euro, non credo che ci sia una ragionevole alternativa a un certo rigore nei conti pubblici. Finita la stagione dei soldi facili, pagata a caro prezzo sotto forma di un generalizzato aumento dei prezzi, e con la prospettiva di un ulteriore inasprimento dei tassi d’interesse, che ovviamente si riverberano sul costo per rifinanziare i nostri titoli di Stato, l’unica strada percorribile è quella indicata da Giorgetti.

Aggiornato il 14 maggio 2024 alle ore 09:21