Protagonisti del più importante dibattito politico e economico del XX secolo
Quando nel 1929 Lionel Robbins divenne direttore del Dipartimento di economia della London School of Economics, che avrebbe successivamente retto a lungo, inserì tra i suoi propositi da realizzare a breve termine quello di chiamare Friedrich A. von Hayek, del quale conosceva l’attività e il valore, soprattutto a seguito della pubblicazione di Gibt es einen Widersinn des Sparens (tradotto poi in inglese col titolo di The paradox of Saving). All’epoca, Robbins, aveva solo trent’anni di età ed era il più giovane professore inglese di economia di quel periodo. Aveva inoltre padronanza della lingua tedesca ed era simpatetico con l’approccio della Scuola austriaca di economia. E di tanto vi è anche traccia in due suoi lavori. Il primo, che gli procurò fama continentale, del 1932: An Essay on the Nature and Significance of Economic Science (tradotto in seguito in italiano: Saggio sulla natura e l’importanza della scienza economica, 1953), contiene un contributo sulla metodologia economica, nel quale, in linea con gli insegnamenti di Ludwig von Mises, specifica che il compito dell’economia è “lo studio della condotta umana nel momento in cui, data una graduatoria di obiettivi, si devono operare delle scelte su mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi”. In proposito, l’economista americano Samuel Bostaph ha scritto: “Leggere Robbins è un modo eccellente per confrontare la sua spiegazione dei fondamenti dell’economia con quella della Scuola austriaca, che si trova nell’opera di Mises come estensione dei principi fondamenti di Carl Menger. Questa lettura chiarisce mirabilmente la comprensione del concetto di base dell’economia come scienza dell’azione umana piuttosto che scienza di mera economizzazione”.
L’altro, The Great Depression del 1934 (in italiano: Di chi la colpa della grande crisi? E la via di uscita, pubblicato nel 1935), nel quale applica brillantemente la teoria austriaca del ciclo economico per spiegare la depressione del 1929 che, osserva, era di una gravità senza precedenti, e per sostenere con forza che il modo per porre fine alle depressioni economiche non risiede nelle misure restrittive e nella pianificazione centralizzata. Occorre invece ripristinare il libero mercato e incoraggiare il commercio internazionale. La pianificazione centralizzata, lungi dal contribuire a ripristinare la prosperità, aumenta il nazionalismo economico e limita la crescita economica. Invitò così Hayek a tenere una serie di lezioni nella medesima università londinese, le quali, come ha ricordato lo stesso Robbins nella sua autobiografia, “ebbero allora un effetto sensazionale, in parte perché esse rivelarono un aspetto della teoria monetaria classica che per molti anni era stata dimenticata, in parte perché svilupparono modelli di elementare struttura dell’economia capitalistica finalizzati a mostrare l’influenza sulla produzione e sui prezzi relativi dei mutamenti nelle proporzioni di spesa assegnata rispettivamente al consumo e all’investimento.
Le lezioni furono nello stesso tempo difficili ed eccitanti, e produssero una tale impressione di conoscenza e di creatività analitica che quando, con mia grande sorpresa, William Beveridge chiese se avessimo voluto invitare Hayek a unirsi a noi in via permanente come titolare della Took Chair of Economic Science and Statistics, che era stata a lungo senza un titolare, ci fu un voto unanime in suo favore”. Hayek accettò la proposta e si trasferì a Londra alla London School of Economics, dove rimase per molti anni, finché non fu chiamato dall’Università di Chicago nel 1950. Vienna e l’Austria in quel momento non avrebbero potuto offrirgli nulla di meglio. “Il momento in cui ricevetti l’invito – ha riportato nella sua Autobiografia – fu molto fortunato. Avevo da poco maturato un’idea sui meccanismi delle fluttuazioni economiche, che riuscii a mettere per iscritto con una certa rapidità, sulla scia del mio entusiasmo iniziale, utilizzando però anche i risultati dei miei studi sulla storia delle idee, di cui mi ero occupato per un certo periodo. Anche se la mia conoscenza dell’inglese all’epoca non era del tutto adeguata a quel compito le mie lezioni ottennero molto successo, in particolar modo tutte le volte in cui parlavo a braccio, e dunque senza leggere il manoscritto”. Lo scopo perseguito da Robbins era quello di opporre un contrappeso intellettuale alle teorie di John Maynard Keynes e di altri suoi seguaci dell’Università di Cambridge, che era allora il quartier generale dei keynesiani.
Hayek conosceva già Cambridge. Qualche anno prima, aveva tenuto un seminario ai membri della Marshall Society, durante il quale non aveva esitato a sostenere pubblicamente che Keynes si sbagliava, che la caduta improvvisa era dovuta a sovra–investimento e che la cura consisteva nell’aumentare i risparmi. Come ha annotato John Raybould: “Di fronte alla giovane generazione di economisti di Cambridge, i quali esaltavano Keynes (incluso Richard Kahn e la rispettabile Joan Robinson), nel cosiddetto Cambridge Circus, “l’esposizione di Hayek venne accolta con silenzio”. E ciò non destò sorpresa. Risale invece al 1928 a Londra, in occasione di un convegno di alcuni istituti di ricerca sul ciclo economico, la sua conoscenza personale di Keynes, di 16 anni più anziano, direttore dell’Economic Journal dal 1931, segretario della Royal Economic Society dal 1913 e autore del famoso: “Le conseguenze economiche della pace”, pubblicato nel 1919, nel quale criticava l’esito punitivo della pace di Versailles, alla quale aveva partecipato come delegato del Cancelliere dello scacchiere britannico e si era poi dimesso dall’incarico, che paragonava a una pace cartaginese, foriera di nuovi conflitti. I due rimasero per sempre buoni amici, come ha poi ricordato lo stesso Hayek: “Perché condividevamo tanti interessi: storici e al di fuori dell’economia. Generalmente, anzi, quando ci incontravamo, smettevamo di parlare di economia”.
Nei confronti di Keynes e delle sue teorie, che trasudavano pianificazione economica e interventismo, lo scienziato austriaco, poi Premio Nobel per l’economia nel 1974, mosse critiche pertinenti e profonde, a iniziare dalla lunga recensione critica al Trattato sulla moneta di Keynes, pubblicata nel numero dell’agosto 1931 di Economica. Tra le altre cose, Hayek nel tempo ha addebitato all’economista britannico di aver dato avvio allo sviluppo di una macroeconomia sostanzialmente priva di fondamenta microeconomiche, di aver alimentato l’illusione che fosse possibile finanziare la crescita con l’inflazione, nonché, e soprattutto, l’idea che l’economia di mercato non fosse in grado, senza alcun intervento, di auto–regolamentarsi: la qual cosa ha finito per diventare la giustificazione teorica per l’ampliamento smisurato della sfera di intervento dello Stato e per l’abbandono del principio di responsabilità fiscale, con la costruzione di quella che James M. Buchanan e Richard Wagner hanno poi definito la “democrazia in deficit”. Pur ammirando Keynes, che considerava “nella sua generazione, uno degli inglesi di maggior rilievo”, lo studioso austriaco lo riteneva incoerente e pensava che fondamentalmente non fosse uno studioso né un bravo economista, “ma piuttosto un grande appassionato in molti campi del sapere e delle arti” e che “la grandezza della sua influenza come economista fosse probabilmente dovuta più all’importanza dell’uomo, all’universalità dei suoi interessi e al potere e al fascino persuasivo della sua personalità che all’originalità e alla solidità teorica del suo contributo alle scienze economiche”.
Riteneva, altresì che: “Per essere un economista, egli era davvero molto poco ferrato in storia dell’economia – nutriva una vera passione per il periodo elisabettiano, per il XVI secolo, e in questo era un grande esperto. Ma quanto alla storia economica del XX secolo, egli era quasi del tutto ignorante; non se ne occupò per ragioni estetiche, il XX secolo non gli piaceva. Era un brutto secolo”. Dello stesso avviso è stata persino Beatrice Webb, secondo la quale: “Keynes non è serio sui problemi economici: ci gioca a scacchi nel suo tempo libero”. E altri che hanno avuto modo di conoscerlo. La grande querelle tra Hayek e Keynes, e i rilievi espressi più volte dal primo, mostrano che Keynes non è stato un liberale né un difensore della società libera (ha persino manifestato simpatie verso il sistema sovietico e gli altri Stati totalitari) e che la cosiddetta “rivoluzione keynesiana” si è risolta in realtà in un pervasivo statalismo interventista, le cui conseguenze nefaste sono anche oggi sotto gli occhi di tutti. “Il sogno keynesiano è svanito – ha sottolineato Hayek – anche se il suo fantasma continua ad affliggere la politica da decenni”.
(*) I disegni sono di Angela Fidone
Aggiornato il 03 maggio 2024 alle ore 17:00