Le esperienze di altri Paesi, Italia compresa, confermano che le misure di controllo degli affitti non raggiungono mai gli obiettivi e aggravano la carenza di offerta di immobili in affitto
Per ben 14 anni, in Italia, dal luglio 1978, data della sua approvazione, sino al 1992, epoca in cui è stata derogata con il decreto Amato, gli affitti delle case sono stati assoggettati alla legge dell’equo canone. Essa costituiva, insieme, la istituzionalizzazione del regime vincolistico iniziato addirittura nel 1917 e la sua dilatazione totale, e assurgeva di conseguenza a emblema della politica interventista. Apprestava, in definitiva, una forma di socialismo abitativo, ovverosia un sistema di controllo degli affitti che rimetteva nelle mani della politica la composizione degli interessi nei rapporti locativi. Sostituiva, infatti, la volontà delle parti con un sistema di regolamentazione autoritativa, che eliminava la possibilità per i contraenti scegliere liberalmente durata, canone e sue modalità di aggiornamento e altri elementi essenziali del contatto.
La normativa, che aveva avuto in Parlamento una lunga e contrastata gestazione, era stata giustificata da pretese esigenze di giustizia sociale (o distributiva), desunte dalla necessità, ad esempio, di rendere economicamente accessibili gli alloggi, ovvero di contenere i canoni entro determinate soglie massime e limitare il loro aumento, e persino di evitare eventuali “speculazioni” da parte dei proprietari. Tutte cose che sarebbero altresì servite per porre rimedio agli squilibri e a un’assunta emergenza abitativa, assicurando inoltre una casa agli indigenti senza abitazione. La sua applicazione, è ormai risaputo, non ha però raggiunto alcuno degli obiettivi perseguiti dai suoi fanatici propugnatori, ed è fallita la relativa esperienza, senza che fosse rimpianta da alcuno, lasciando irrisolte le vecchie emergenze sociali ed economiche, alle quali si erano frattanto aggiunte quelle nuove, che il provvedimento aveva prodotto. Altri esperimenti tentati in altri Paese, come ad esempio a New York, che è stata definita “la capitale mondiale del controllo degli affitti”, addirittura in Vietnam, e in tempi più recenti, a Berlino in Germania e a Ginevra in Svizzera, hanno fatto la stessa fine.
Nonostante ciò, l’iniziativa continua ad affascinare e a trovare nuovi estimatori, come è successo in Spagna, dove la legge sul diritto all’abitazione (numero 12 del 24 maggio 2023) ha autorizzato il controllo degli affitti nelle zone che le autorità competenti per gli alloggi, le comunità autonome e i Comuni, possano dichiarare “stressate”. Si tratta, nella specie, di aree con una forte tensione del mercato locativo residenziale, la quale si ricaverebbe dal fatto che il pagamento della casa comporta uno sforzo superiore al 30 per cento del reddito delle famiglie della zona oppure i prezzi siano aumentati di oltre 3 punti percentuali rispetto all’Indice dei prezzi al consumo (Cpi) negli ultimi cinque anni. In tali zone, fermo restando la durata minima obbligatoria di cinque anni dei contratti, imposta dalla citata legge del 1994, i canoni degli affitti in essere nel 2024 possono essere aumentati del 3 per cento, e potranno poi essere adeguati nel 2025 secondo un nuovo indice di riferimento per l’aggiornamento annuale, che sostituirà l’attuale Cpi. Qualora si tratti invece di nuovi rapporti, e il locatore sia un piccolo proprietario (l’80 per cento, secondo Fotocasa), il corrispettivo dovrà essere uguale a quello del precedente contratto, salvo l’indicato adeguamento, a condizione però che l’appartamento sia stato già fittato negli ultimi cinque anni. In caso contrario, oppure se l’abitazione è di proprietà di un grande proprietario (che possiede, cioè, dieci o più abitazioni o, se diversamente stabilito dalla comunità autonoma, cinque nella stessa zona stressata), il canone non potrà essere liberamente stabilito dalle parti ma dovrà essere contenuto nel limite massimo consentito secondo il “Sistema di riferimento statale per i canoni degli affitti delle abitazioni”, tenendo conto delle condizioni e delle caratteristiche dell’abitazione locata e dell’edificio in cui è ubicata. Al momento, la Catalogna è l’unica regione che applicherà il controllo al mercato degli affitti in 140 Comuni indicati nell’elenco pubblicato nella Gazzetta ufficiale dello Stato (Boe), tra i quali spiccano le capitali catalane Barcellona, Tarragona, Lleida e Girona e le principali località dell’area metropolitana di Barcellona, come Hospitalet de Llobregat, Terrassa, Badalona, Sabadell, Mataró o Santa Coloma de Gramenet, vicino a Reus, a Tarragona.
Non è necessario guardare dentro la sfera di cristallo per rilevare che il sistema spagnolo non servirà per porre rimedio alla carenza di alloggi, in quanto aggraverà la situazione con una ulteriore contrazione dell’offerta di locazioni. Tanto scoraggiando non solo i proprietari di immobili sfitti, che preferiranno tenere vuota la casa, ben sapendo che l’alloggio libero vale dal 30 al 40 per cento più di quello occupato, quanto gli imprenditori privati, che non costruiranno più per affittare: di fronte al costo effettivo d’un immobile, il reddito fissato dall’indice spagnolo è di gran lunga inferiore a quello assicurato da altri contesti economici più appetibili, oltre che in linea con le necessità dei consumatori. In proposito, il portale immobiliare Idealista, uno dei più grandi in Spagna, ha sottolineato che l’indice del Governo fornisce prezzi inferiori di un terzo rispetto a quelli di mercato, collocandoli ai valori del 2017, mentre per Seguro Rental anche in province come Barcellona e Madrid detto indice propone prezzi minimi che non si riscontrano sul mercato da 10 anni. Lascia inoltre spazio affinché il 15 per cento delle case in affitto aumenti di prezzo, in quanto sono rimaste all’interno della fascia e non è stato raggiunto il massimo o perché la fascia minima è rimasta al di sopra del prezzo di locazione attuale.
Sarà pertanto inevitabilmente destinato al naufragio, come del resto hanno già prospettato la Federazione delle associazioni immobiliari (Fai) e i portali immobiliari come Idealista, Fotocasa o Pisos.com, che hanno previsto l’effetto opposto a quello desiderato, meno appartamenti in affitto e più costosi, aumento del mercato illegale. Del medesimo avviso anche il Partito popolare (Pp), guidato da Alberto Núñez Feijóo, che ha dichiarato che nessuna – delle dieci regioni in cui governa – sarà indicata come zona stressata poiché si tratterebbe di un “suicidio immobiliare” che destabilizzerebbe il mercato. La soluzione, come ha sottolineato, non è pertanto di “intervenire sul mercato e limitare i prezzi”, ma piuttosto attivare misure che aumentino l’offerta di alloggi. Da parte sua, Grupo Mutua de Propietarios ha riferito che, secondo un sondaggio condotto su 2mila persone, i principiali timori provocati dall’indice sono l’aumento del mercato degli affitti illegali (29 per cento) e la riduzione dell’offerta (29 per cento).
In definitiva, anche l’iniziativa spagnola conferma che, quando il mercato viene condizionato mediante un provvedimento legislativo di controllo degli affitti, e viene imposto un limite massimo ai fitti, rendendo altresì gli stessi uguali per tipologia di immobile, l’effetto che si produce è tutto quello di soffocare la vitalità del mercato immobiliare e di ridurre il valore creato dagli scambi e dalla concorrenza, rendendo impraticabili le soluzioni e gli incentivi che essa determina. I proprietari e costruttori vengono così scoraggiati dal mantenere l’offerta esistente o di prendersi dei rischi per produrne di nuova. Né avranno più bisogno di soddisfare coloro che domandano le loro case e anche gli inquilini. Sicché, se un conduttore dovesse recedere da un contratto e abbandonare un’abitazione che versa in pessime condizioni, il proprietario potrà velocemente sostituirlo, sia per la carenza di altre opzioni abitative per gli inquilini, sia per l’elevata domanda di immobili a canone controllato.
Vi è inoltre da considerare che, fissando il massimale dei canoni a un livello inferiore rispetto a quello che sarebbero altrimenti i potenziali canoni di mercato, aumenterà la domanda di alloggi, la quale supererà inevitabilmente l’offerta e porterà per forza di cose a una carenza di spazi abitativi. Diversamente, in un mercato competitivo, e in assenza di controlli sui prezzi, questi corrispondono a un equilibrio fra domanda e offerta, per cui se la quantità di un bene o servizio richiesto è maggiore della quantità offerta si verificherà un aumento dei prezzi per eliminare la carenza (generando nuova offerta e riducendo l’importo richiesto). In proposito, Friedrich August von Hayek, premio Nobel per l’Economia nel 1974, ha sottolineato: “Fissare i canoni al di sotto del prezzo di mercato, prolunga inevitabilmente la penuria di alloggi. La domanda continua ad essere superiore all’offerta e, se il limite massimo dei prezzi è efficacemente applicato (…), si è costretti a costruire un meccanismo per l’assegnazione autoritativa dello spazio abitabile». Dello stesso avviso l’economista americano Frank Knight, che ha commentato: “Se le persone istruite non riescono o non vogliono vedere che fissare un prezzo al di sotto del livello di mercato crea inevitabilmente una carenza (…) è difficile credere nell’utilità di dire loro qualcosa in merito a questo argomento”.
Aggiornato il 12 aprile 2024 alle ore 10:03