Controllo di gestione

Ogni azienda italiana è obbligata per legge alla tenuta di corrette scritture contabili. Alcune aziende lo fanno internamente assumendo contabili preparati, mentre altre decidono di affidare questo compito a un commercialista. La contabilità obbligatoria però non serve a soddisfare esigenze di controllo strategico della società, ma ha, più che altro, sempre avuto una valenza di controllo tecnico dei costi e ricavi finalizzato al calcolo delle imposte. Infatti, le ditte individuali e le società di persone che non raggiungono limiti di fatturato (400mila euro, per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, e 700mila euro, per le imprese aventi per oggetto altre attività) hanno la facoltà di tenere una contabilità semplificata. La contabilità semplificata, come dice la parola, omette tutti i movimenti finanziari di credito e debito limitandosi ai movimenti economici utili al calcolo dell’imponibile fiscale Irap, Irpef e Iva. Ma nella contabilità ordinaria la situazione non è molto diversa.

Sicuramente beneficia anche della registrazione delle movimentazioni finanziarie ma non ha comunque un’impostazione di controllo strategico, ma possiamo definirlo controllo basico. Le aziende, invece, oggi hanno bisogno di un controllo specifico e analitico che porta con sé peculiari indici di bilancio essenziali per il settore in cui opera l’azienda. Per esempio, se una società opera nel commercio di beni quotati (esempio: rame, riso, grano) il bilancio necessita di una valutazione anche per quantità. Perché un bilancio con un fatturato maggiore dell’anno precedente potrebbe essere frutto di un aumento del prezzo del bene più che di un aumento delle quantità vendute. Inoltre, la contabilità tradizionale accoglie elementi di costo e ricavo che non movimentano denaro. Sempre di più, infatti, le banche tendono a riclassificare i bilanci, a chiedere dettagli e a impostare una valutazione analitica che va oltre i dati ufficiali obbligatori.

Oggi le aziende devono dotarsi di un sistema di controllo per anticipare le crisi e ottenere una serie di valori utili per fronteggiare difficoltà, ma anche piani di sviluppo elevati. Le norme più recenti spingono verso questa direzione. Il Codice della crisi di azienda già obbligherebbe le imprese a lavorare su modelli di controllo anti-crisi, e lo stesso vale per il modello cosiddetto della Legge 231 del 2001 che introduce modelli di controllo nelle procedure aziendali e nel sistema di rilevazione dati. Il modello 231 è valido solo per le grandi aziende e aziende di particolari settori, ma già il Codice della crisi entrato in vigore pochi anni fa riprende concetti proprio del modello 231 e li applica a tutte le imprese. Alla base della norma c’è la prevenzione della crisi aziendale e solo applicando modelli di controllo continuativo è possibile evitare o limitare questi eventi spesso irrisolvibili. Anche il Governo e le autorità europee hanno compreso come il sistema contabile tradizionale sia insufficiente a un corretto sistema di direzione aziendale. È troppo lento, crea dati aggregati e non analitici e si basa troppo su aspetti fiscali e poco su aspetti finanziari.

Aggiornato il 03 aprile 2024 alle ore 10:37