“Espressione utilizzata, a partire dagli anni 1980, per indicare la specializzazione internazionale del sistema produttivo italiano nei settori manifatturieri cosiddetti tradizionali. Rientrano in questa definizione le cosiddette 4 A: abbigliamento (e beni per la persona), arredamento (e articoli per la casa), automotive (inclusa la meccanica) e agroalimentare” (fonte: Treccani).
Nonostante la definizione di cui sopra, la realtà si distanzia dalla percezione dei consumatori. Questi ultimi, infatti, leggendo la dicitura “Made in Italy”, si convincono che il bene sia interamente prodotto in Italia, ma la normativa permette che parti del processo produttivo siano svolte all’estero. I prodotti marchiati “Made in Italy” divengono quindi ibridi e, in alcuni casi, la parte italiana si riduce a un mero assemblaggio. In base all’articolo 24 del Codice doganale europeo (Regolamento della Comunità economica europea 2913/1992), un prodotto che è stato realizzato in due o più Paesi è considerato comunque originario dello Stato in cui l’ultima trasformazione o lavoro sostanziale ha avuto luogo. Molte volte ha la meglio “l’ultima trasformazione”. Se un articolo viene prodotto per il 60 per cento all’estero e per il 40 per cento in Italia (per esempio l’Italia si occupa di assemblare i componenti prodotti all’estero), quel medesimo articolo può essere etichettato come “Made in Italy”. Il consumatore è convinto che il prodotto sia italiano ma non lo è affatto. In alcuni casi, il bene potrebbe essere stato addirittura completamente realizzato all’estero pur mantenendo il marchio “Made in Italy”, a patto che sia stato commissionato da un’azienda con sede in Italia.
Perché accade questo? Facile, il marchio “Made in Italy”, secondo uno studio di mercato realizzato da Statista in Made-In-Country-Index (Mici) nel 2017, e pubblicato da Forbes il 27 marzo 2017, è stato censito al settimo posto in termini di reputazione tra i consumatori di tutto il mondo. Kpmg, prima società di revisione del mondo, nel 2012, posizionava la notorietà del marchio “Made in Italy” al terzo posto nel mondo dopo i marchi Coca-Cola e Visa.
Il Governo italiano più volte è intervenuto a sostegno del “Made in Italy”, ma ancora oggi le lacune della norma permettono ai produttori di vendere prodotti “Made in Italy” di fatto prodotti all’estero anche per il 100 per cento. La convinzione che dietro il marchio ci sia la provenienza e quindi la qualità oggi è soltanto un’idea e non parliamo delle vere e proprie contraffazioni illegali, ma di un processo perfettamente legale che porta sul mercato prodotti che il consumatore pensa siano stati realizzati sul territorio nazionale quando invece, se va bene, hanno soltanto il progetto italiano e il marchio. Ovviamente questo discorso vale anche per il “Made in...” degli altri Paesi, ma la tradizione manifatturiera e artigianale italiana porta con sé un retaggio storico che altri Paesi non hanno. Il “Made in Italy” è certamente oggetto di contraffazione, ma questo non vale per altri Paesi.
Aggiornato il 02 aprile 2024 alle ore 14:06