Le lezioni di economia nelle pagine dei Promessi sposi
Dalla funzione fondamentale dei prezzi all’illusoria e pericolosa ingerenza del potere. Al populismo che pensa che ci siano soluzioni facili a problemi complessi.
Il 24 marzo si celebrano i 150 anni della nascita di Luigi Einaudi. Docente di economia, politico, governatore della Banca d’Italia, presidente della Repubblica. Un’occasione non solo per ricordare, ma anche per riprendere un insegnamento ancora molto attuale, una prospettiva autenticamente liberale che derivava da una profonda analisi sociale e da una chiara e concreta visione delle possibili soluzioni. Quanto più lontano dalle facilonerie del populismo e dalle illusioni del collettivismo. In questa prospettiva è significativo come Einaudi parlasse dei Promessi sposi, la cui prima stesura festeggerà l’anno prossimo i duecento anni, come “uno dei migliori trattati di economia politica che siano mai stati scritti”. Il capolavoro di Alessandro Manzoni ha avuto tutte le fortune del classico, dall’adattamento teatrale alla versione con Paperino, ma a leggerlo come un trattato d’economia politica sono stati Einaudi e una piccola schiera di studiosi. E per capirlo basta fermarsi alle prime pagine del capitolo dodicesimo, quelle dedicate al tumulto di San Martino: “Pagine stupende sui pregiudizi popolari intorno alla scarsità e all’abbondanza del frumento e della farina, agli incettatori e ai fornai”.
Einaudi le cita più d’una volta, sia in saggi di carattere scientifico, sia nei suoi articoli di giornale. Esempi molto significativi ed efficaci tratti dalla vita quotidiana pur una circostanza grave ed eccezionale. Manzoni era appassionato della scienza economica, descrive l’atteggiamento dei milanesi di fronte alla penuria del pane e spiega come nasca “un’opinione ne’ molti, che non ne sia cagione la scarsezza”. C’è sempre una ragione nei fenomeni sociali e tanto più le cause sono complesse tanto più l’istinto populista porta a far credere che vi siano soluzioni facili e sicure. Con solo difetto: sono soluzioni sbagliate. E così anche per il pane che manca, scatta lo stesso meccanismo psicologico entrato in gioco per la peste. Si cerca l’untore. “Si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza”. La folla chiede a gran voce provvedimenti, pronta a tutto fuorché ad accettare un rincaro che, spiega Manzoni, sarebbe “doloroso, ma salutevole”. E, infatti, la soluzione alla crisi sarebbe proprio un’importazione sufficiente di granaglie estere, ostacolata dalle “leggi stesse tendenti a produrre e mantenere il prezzo basso”. Il calmiere abbassa il prezzo del pane oggi, per garantirci che non se ne sforni domani. Non è un caso se Einaudi ricorda la lezione del Manzoni nel 1919 (La lotta contro il caro viveri) e poi in articoli successivi, alla fine degli Anni Trenta.
Situazioni straordinarie portano a invocare sforzi straordinari. Peccato che “tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire derrate fuor di stagione”. Fissare i prezzi sembra frenare la “speculazione”. Ma se può apparirci non giustificabile che chi ha acquistato grano in tempi di vacche grasse lo rivenda a caro prezzo durante una carestia, resta il fatto che così facendo egli svolge una funzione doppiamente utile. Da una parte, è meglio aver pane a caro prezzo che non averne. Dall’altra per la legge della concorrenza praticare il prezzo più alto può spingere altri a intervenire con l’effetto di abbassarlo di nuovo. In tal modo, ricorda Einaudi, “i prezzi, senza calmieri, senza processi, senza comizi, senza adunanze in prefettura capitomboleranno e la vita tornerà a buon mercato”. La funzione benefica dei prezzi liberi viene illustrata così in parallelo con le analisi di Friedrich von Hayek. Manzoni prima ed Einaudi poi hanno in fondo preso atto che concetti come quello della mano invisibile non potevano certo essere compresi, e tanto meno condivisi non solo dal popolo, ma anche dalle autorità. Sono in fondo i potenti quelli che più si illudono di poter derogare dalle leggi dell’economia.
Il guaio del cancelliere Antonio Ferrer non sta nell’aver capito che “l’essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile”, ma nell’aver pensato “che un suo ordine potesse bastare a produrla”. “Ministri, direttori generali, commissari, prefetti”, sottolinea Einaudi, dovrebbero comprare una copia dei Promessi sposi e tenerla sul tavolo dello studio e magari anche sul comodino. Così dovrebbero fare i parlamentari che ogni anno votano una legge sulla concorrenza o magari scelgono di rinviare le necessarie liberalizzazioni delle spiagge o dei taxi. Meglio sarebbe leggessero il Manzoni, magari sotto il titolo di Elementi di politica (capitolo sulla peste e sugli untori) “e di economia” (capitolo sulla carestia), “invece dei male avventurati elementi di scienza economica che si propinano oggi da insegnanti svogliati a scolari disattenti”. Sarà che con le idee i potenti si regolano come Donna Prassede, “che ne aveva poche ma a quelle poche era molto affezionata” e alle “storte” in particolare. Come scriveva un grande economista come John Maynard Keynes: “È incredibile a quante sciocchezze si possa temporaneamente credere se si pensa per troppo tempo da soli, specialmente in economia”. Manzoni andrebbe riletto, o almeno letto, anche dai politici di ogni colore sempre convinti che si possano affrontare e risolvere i problemi “facendo una legge” o aumentando le pene per quelle esistenti. Anche in questa prospettiva ritenendo che la complessità sociale si possa affrontare con un tratto di penna. Al Manzoni non sarebbe spiaciuta la morale che dal suo capolavoro trasse Luigi Einaudi. I politici “si decidano a levarsi fuori dei piedi per quanto si riferisce al commercio privato. Faccia il governo il suo mestiere e i cittadini faranno il loro”.
Aggiornato il 13 marzo 2024 alle ore 16:40