Salvataggi industriali, una costante italiana

Ogni anno, quando arriva settembre, il Paese si accapiglia ormai sul rinnovo di questa o di quella misura fiscale o di spesa. Si minacciano scioperi, si paventano agitazioni, si convocano riunioni a volte per misure capaci di incidere solo marginalmente sui redditi delle famiglie. Ma se si tratta di salvare questa o quella attività economica mettendo sul piatto decine se non centinaia di milioni di euro, allora tutto tace. Come se quelle risorse non fossero nostre. Da un secolo e mezzo a questa parte per i salvataggi spendiamo, in media, ogni anno qualcosa come quattro miliardi di euro, circa 200 euro per ogni famiglia italiana, ma la cosa sembra lasciarci del tutto indifferenti.

I motivi possono essere tanti ma uno forse pesa più di altri: non sappiamo e dunque non ci rendiamo conto che per salvare questa o quella azienda in difficoltà, questa o quella attività economica zoppicante lo Stato non chiede conto a chi ha contribuito a portarla sugli scogli, non si rivolge a chi sarebbe direttamente interessato alla sua sopravvivenza, ma spesso e volentieri senza interpellarci preleva quanto necessario dalle nostre tasche. Ci sembra arrivato il momento di fare quanto necessario perché gli italiani siano informati. E, se vogliono, decidano di mettere le loro risorse al servizio di una solidarietà malintesa e inefficiente come quella dei salvataggi industriali e finanziari.

È un’informazione oggi apparentemente disponibile solo negli Stati Uniti dove il sito www.propublica.org/article/government-bailouts pubblica, aggiornandoli con regolarità, i casi di salvataggio, identificandone puntualmente i beneficiari (a prescindere dalla loro dimensione) ed indicandone i relativi oneri a carico dei contribuenti e, quando presenti, i conseguenti proventi. Nel Regno Unito il National Audit Office offre una rassegna aggiornata dei costi sopportati dai contribuenti ma solo per i salvataggi bancari del 2007. In Italia, la Banca d’Italia ha ritenuto di dover rispondere alle domande poste dai risparmiatori colpiti a seguito delle modalità di risoluzione, nel 2016, di alcune banche centro-settentrionali di media dimensione. Ma non risulta che nei casi di salvataggio intervenuti in Italia le Autorità abbiano ritenuto di informare i contribuenti (né che questi lo abbiano chiesto in quanto tali). A breve l’Istituto Bruno Leoni provvederà a mettere online tutte le informazioni disponibili sui salvataggi in essere. Facendo quello che il Ministero dell’Economia e delle Finanze avrebbe dovuto fare da tempo.

 (*) Consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 11 marzo 2024 alle ore 12:03