Come sempre il Rapporto Svimez rappresenta un punto di riferimento chiave non solo per il sistema economico del Mezzogiorno ma per l’intero processo di crescita del Paese; senza dubbio si rimane abbastanza colpiti dalla evidenziazione delle criticità che, secondo lo Svimez, sono presenti nell’azione, portata avanti dal ministro Raffaele Fitto, di trasferimento di alcuni interventi del Pnrr su Fondi europei per la coesione. Il valore complessivo di questi 83 interventi ammonta a 95,5 miliardi euro, di cui circa 45 miliardi di euro riferibili alla cosiddetta “quota Sud”. Si tratta di un ammontare considerevole, considerato che corrisponde a circa la metà del valore complessivo del Piano.
In conclusione, si precisa nel Rapporto, l’utilizzo delle risorse della Programmazione 2021-2027 dei Fondi europei per la coesione per finanziare gli interventi attualmente coperti dal Pnrr, ma che presentano criticità in ordine al raggiungimento, entro il 2026, dei target previsti, presenta indubbi potenziali vantaggi per il sistema Paese, consentendo di realizzare, sempre attraverso risorse europee, ma con un orizzonte temporale più ampio rispetto al Pnrr, interventi strategici per la competitività e la riduzione dei divari.
Sussistono, tuttavia, almeno cinque fattori che rendono difficilmente praticabile una completa o prevalente traslazione degli interventi critici del Pnrr sui Fondi europei per la coesione:
– L’eccessiva dimensione finanziaria di alcuni interventi, talvolta ricadenti su territori limitati, rispetto non solo agli obblighi di concentrazione tematica, ma anche, spesso, alle risorse complessivamente disponibili su un determinato Obiettivo strategico o Programma.
– La difficile compatibilità di alcuni interventi con le previsioni dei regolamenti europei e con le posizioni manifestate dalla Commissione europea nell’ambito del negoziato sull’Accordo di Partenariato.
– I vincoli di concentrazione tematica sugli Obiettivi strategici di policy 1 e 2 previsti dal regolamento Fesr (soprattutto con riferimento alle Regioni più sviluppate).
– La sostanziale assenza di Programmi nazionali Fesr che coprano l’intero territorio nazionale.
– La concentrazione di una quota preponderante delle risorse del Fesr a favore delle Regioni del Mezzogiorno (72 per cento), che rende complesso il finanziamento di interventi omogeneamente ripartiti su tutto il territorio nazionale. Quest’ultima circostanza tende a rendere ancora più complesso un eventuale utilizzo del Fondo nazionale per lo sviluppo e la coesione (Fsc) per finanziare gli interventi.
Ebbene, penso che queste giuste criticità sollevate dallo Svimez, soprattutto per le progettualità del Sud, non possano essere affrontate e risolte senza un diretto coinvolgimento non delle singole Regioni del Sud, ma attraverso un confronto tra organo centrale e le otto Regioni unite in modo da rappresentare un convinto quadro di interessi e di convenienze unitarie. Pochi giorni fa ho ricordato che, in fondo, le Regioni del Mezzogiorno sono legate da una sommatoria di omogeneità che riporto ancora una volta di seguito:
– Sono tutte otto all’interno dell’Obiettivo uno della Unione europea, cioè tutte hanno un Pil pro capite inferiore al 75 per cento della media europea.
– Nessuna delle otto Regioni supera la soglia del 5 per cento nella formazione del Pil nazionale.
– Il Pil pro capite nelle otto Regioni non supera la soglia dei 22mila euro e addirittura in alcune si attesta su un valore di 17mila euro; al Centro-Nord si parte da una soglia di 26mila euro per arrivare addirittura a 40mila euro.
– I Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) all’interno delle otto Regioni sono indifendibili; per la offerta di servizi socio-assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano. La spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro.
– Il livello di infrastrutturazione del Sud produce un danno annuale nella organizzazione dei processi logistici superiore a 58 miliardi di euro.
– Nelle otto Regioni esiste solo un interporto quello di Nola-Marcianise, nel Centro-Nord ne esistono sette (interporti veri, vere eccellenze logistiche).
– Nelle otto Regioni esiste solo un porto transhipment, quello di Gioia Tauro, con una rilevante movimentazione di container.
– La distanza dell’intero Mezzogiorno dai mercati del Nord d’Italia e del centro Europa è un vincolo alla crescita per tutte le otto Regioni.
A queste omogeneità, ora, se ne aggiunge una forse più articolata e al tempo stesso più complessa: quella evidenziata dai cinque punti del Rapporto Svimez. Diventa quindi urgente che una proposta da me avanzata pochi giorni, e che riporto di seguito, si trasformi in atto compiuto. E lo Svimez potrebbe essere, addirittura, il soggetto catalizzatore di una simile iniziativa. La proposta partiva da una banale constatazione: la sommatoria di omogeneità prima descritte, a cui si aggiungono quelle indicate dal Rapporto Svimez, finora non ha trovato una giusta collocazione sia nel dibattito politico, sia nel processo programmatico del Governo. Quindi sarebbe opportuno dare vita ad una Conferenza delle Regioni del Mezzogiorno. Una Conferenza addirittura lunga ed articolata in un arco temporale di 30-40 giorni in cui affrontare, dibattere e superare quella famiglia di criticità che rischiano di compromettere non solo il Pnrr ma anche il Fondo di sviluppo e coesione.
In realtà queste oggettive criticità e questa urgenza per risolverle diventa una grande occasione per annullare gli storici provincialismi, gli storici egoismi posseduti dalle singole otto Regioni. E, cosa davvero paradossale, saranno proprio le criticità evidenziate nel rapporto a essere il motore per la costruzione di un possibile assetto federativo delle Regioni del Mezzogiorno.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 02 febbraio 2024 alle ore 10:15