L’Ance può essere il catalizzatore di una simile proposta
Prendo subito come riferimento le dichiarazioni fatte dal direttore del Cresme Lorenzo Bellicini: “Il settore delle costruzioni è oggi di fronte ad una grande sfida: deve riprogettare un modello, perché fermandosi il Superbonus e ripartendo le opere pubbliche si pone un importante sfida realizzativa sotto il profilo della manodopera, tanto per citare uno dei primi problemi, il comparto è appeso alle opere pubbliche non dimentichiamo che oltre al Superbonus chiuderà anche il Pnrr nel 2027 il settore deve reinventarsi e lo deve fare adesso”. Questa giusta denuncia conferma quanto più volte ribadito da tante mie note prodotte proprio negli ultimi due anni e per questo ritengo che il mondo delle costruzioni abbia bisogno di quattro certezze:
1) Un Piano pluriennale di interventi.
2) Un Programma dettagliato fonti – impieghi con coperture pluriennali degli interventi di cui al punto (1).
3) Una rilettura del Codice Appalti non tanto nel suo impianto normativo quanto nelle procedure e nella organizzazione della miriade di stazioni appaltanti.
4) Una nuova organizzazione del mondo imprenditoriale, cioè una più corretta identificazione delle reali potenzialità delle imprese attraverso rating trasparenti.
Per il Piano pluriennale degli interventi e per la relativa copertura finanziaria, cioè per i primi due punti, come sto ripetendo da più mesi sia urgente un incontro “vero” tra l’Ance ed il Governo e non servono a nulla convegni come quello di Vicenza di una settimana fa o tavoli aperti per parlare del passato e del presente. Per il passato l’Ance e l’attuale Governo sanno che l’eredità lasciata dai Governi Conte 1 e 2 e dallo stesso Draghi è solo da dimenticare, infatti simili Governi hanno gestito male il Fondo di sviluppo e coesione, il Pnrr e la serie di opere della Legge Obiettivo (uniche rimaste coperte da investimenti e bloccate o per il ricorso a forme di Project review o per puro innamoramento del “non fare”). Pertanto questo Governo e l’Ance hanno solo una possibile alternativa: pensare alla grande, pensare ad un’azione mirata al medio e lungo periodo e, soprattutto, approfondire, in modo organico, le strategie e le proposte legate ad un vero rilancio dell’intero assetto infrastrutturale del Paese. I primi due punti del Piano prima riportati sono sicuramente i più difficili ed i più impegnativi anche se il secondo, quello legato al Programma fonti – impieghi, se affrontato con la logica della percentuale fissa annuale di una quota del Pil, una quota destinata alla infrastrutturazione, sicuramente da solo supporterebbe e garantirebbe il Piano pluriennale di interventi.
Lo so destinare ogni anno, a titolo di esempio, l’1,5 per cento del Pil per attuare un simile Piano; cioè destinare circa 27 miliardi di euro per almeno 10 anni significa aggravare, in modo sostanziale, il bilancio dello Stato ma se leggessimo ed analizzassimo attentamente le proposte programmatiche scopriremmo che la mancata realizzazione comporta costi sicuramente superiori. Allora tento di elencare, in modo sintetico, le linee generali e gli obiettivi di base:
1) Completamento delle reti infrastrutturali e identificazione di ulteriori nuovi assi e nodi (rete ferroviaria ad alta velocità, reti stradali ed autostradali, accesso ai porti, agli interporti, agli aeroporti, riqualificazione della offerta di trasporto nelle aree urbane, riassetto funzionale della portualità, riassetto funzionale dei grandi Hub aeroportuali). In questo elenco non dobbiamo sforzarci di trovare gli interventi perché, nella maggior parte dei casi, sono già identificati e per alcuni si dispone già della relativa progettualità.
2) Costruire nuovi invasi e completare quelli ancora in fase di realizzazione e, soprattutto per il comparto agricolo, progettare e realizzare nuove reti di distribuzione. Ricordo che in Italia esistono 347 laghi, 526 grandi dighe e un sistema di 20mila piccoli invasi, tuttavia se negli anni Settanta veniva immagazzinato nei bacini circa il 15 per cento dell’acqua piovana, oggi questa percentuale è scesa all’11,3 per cento.
3) Adeguamento funzionale delle reti di approvvigionamento e distribuzione di acqua potabile; allo stato attuale la perdita di acqua potabile, soprattutto nelle grandi aree metropolitane supera abbondantemente il 40 per cento.
4) Riassetto idrogeologico del territorio. Disponiamo di un Piano per l’assetto idrogeologico (o Pai), disponiamo di uno strumento fondamentale della politica di assetto territoriale convertito con modificazioni dalla Legge 365/2000, disponiamo di un Piano che ha valore di Piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni, gli interventi e le norme d’uso riguardanti la difesa dal rischio idrogeologico del territorio. Bisogna però non solo “conoscere” ma agire concretamente. Purtroppo siamo in presenza di tessere progettuali di un mosaico che non esiste.
5) Messa in sicurezza del territorio; siamo anche in questo caso in presenza di iniziative progettuali lontane da una logica di misurabile organicità delle varie operazioni; siamo addirittura anche in presenza di coperture finanziarie relative alla messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti; alla messa in sicurezza degli edifici, con precedenza per gli edifici scolastici, e di altre strutture ma, finora, siamo solo in presenza di interventi a macchia di leopardo.
6) Attuazione concreta del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima; esiste un Piano definito proprio ultimamente ma ora va attuato davvero; un Piano al cui interno siano chiaramente definiti gli Hub della produzione e il nuovo sistema delle reti di distribuzione.
In realtà, siamo di fronte ad una lista nota come intuizione programmatica ma, sempre, nel migliore dei casi, utilizzata come sistematica dichiarazione di buona volontà a fare con il risultato però del sistematico ricorso al “non fare”. Sicuramente questo elenco di vere emergenze programmatiche trova anche alcuni dati ampiamente verificati di quanto costi la mancata attuazione di queste scelte; io ne elenco solo alcune:
1) L’assenza di un processo già avviato nella attuazione del Piano energetico produce un danno stimato di circa 8-10 miliardi *.
2) L’insularità della Sicilia fa perdere annualmente al Pil della Regione 6,2 miliardi di euro *.
3) L’assenza di una offerta infrastrutturale adeguata in termini di HUB logistici e di reti produce un danno accertato da distinte fonti pari a 93 miliardi di euro all’anno **.
4) L’assenza di un sistema organico della gestione e della distribuzione dell’acqua produce un danno stimato in 9-11 miliardi di euro all’anno *.
5) La mancata messa in sicurezza del territorio; in particolare sia per la parte antisismica, sia per quella idrogeologica produce un danno di oltre 10 miliardi di euro all’anno *.
* Sono dati ottenuti dalla somma dei danni generati sistematicamente da fattori esterni o da impossibilità gestionale
** Sono dati forniti da Confcommercio e da Coldiretti.
Potrei continuare, ma solo queste mancate azioni infrastrutturali producono un danno annuale di oltre 130 miliardi di euro all’anno. Questa stima è senza dubbio molto più bassa di quella reale e fa paura che questa obbligata constatazione non produca, subito, risposte operative e preoccupa ancora di più il fatto che si motivi la scelta parziale di ogni intervento solo per mancanza di risorse dimenticando quanto invece costi il “non fare”. Gli altri due punti indicati all’inizio e cioè una rilettura del Codice Appalti ed un nuovo assetto del mondo imprenditoriale sono temi che penso troverebbero immediata soluzione in presenza di una chiara e misurabile impostazione dei primi due punti, cioè della concreta attuazione degli interventi e della relativa copertura. Questo approccio, questo lavoro propositivo compete sicuramente al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed al Ministero dell’Economia e delle Finanze ma il motore, il catalizzatore, l’attore principale dovrebbe essere, a mio avviso, l’Ance; d’altra parte l’Ance sa bene che vivere rincorrendo Piani di breve termine significa annullare automaticamente la sua esistenza, la sua missione. Sono sicuro che di fronte a questi dati molti diranno: “Invece di realizzare il Ponte, invece di utilizzare 13,5 miliardi per la sua realizzazione, perché non utilizziamo tali risorse per avviare a realizzazione la serie di interventi prima elencati?”. La risposta è facile ed è immediata: la realizzazione del ponte annulla un “dazio negativo annuale” di 6,2 miliardi di euro a causa proprio della insularità. Concludo ricordando che è facile indicare le finalità ed è difficile attuarle; l’Ance, convinta di ricorrere a scelte di lungo periodo può offrire al Governo una misurabile e vincente occasione di crescita del Paese.
(*) Tratto da Le Stanze di Ercole
Aggiornato il 31 gennaio 2024 alle ore 12:02