Riporto in modo sintetico, ma ricco di dati e di informazioni, come la Unione europea intenda ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 per cento e, dopo questi dati, tento di misurare quanto siamo lontani da un concreto processo di attuazione della normativa. In modo provocatorio ho parlato di una sottovalutazione della tematica, sono invece sicuro che le Direzioni competenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministero dell’Economia e delle Finanze e delle Amministrazioni regionali e comunali, non solo se ne sono accorte ma hanno anche capito che sta per esplodere una “bomba riformatrice”, una bomba riformatrice imposta formalmente dalla Unione europea che modificherà, in modo sostanziale, il rapporto tra utente dei servizi dei trasporti pubblici locali e la offerta; modificherà le stesse abitudini del fruitore dell’urbano e, in genere, del fruitore dell’intero sistema territoriale.
Sicuramente in questo processo riformatore svolgeranno un ruolo le piste ciclabili o le nuove modalità di organizzazione del lavoro attraverso lo smart working, ma dobbiamo sempre ricordare che queste utili iniziative non risolveranno in modo incisivo due vincoli ormai obbligati o meglio due condizioni che il processo riformatore dovrà affrontare e superare obbligatoriamente:
– una sistematica crescita della domanda di trasporto all’interno delle grandi e medie aree urbane; una crescita dell’uso di trasporto pubblico in quanto il trasporto privato sarà sottoposto, come si evince dalla serie di Direttive comunitarie, a forti vincoli nell’accesso all’urbano;
– una vera impennata del tasso di inquinamento con il ricorso obbligato al blocco della mobilità privata.
Ebbene, come ho detto all’inizio riporto di seguito le ultime direttive comunitarie e, sempre sinteticamente, metto in evidenza come si sia arrivati a tali direttive (vedi qui). Ma entriamo nel merito del trasporto pubblico locale e della incidenza che questa normativa ha sull’attuale assetto infrastrutturale e gestionale. In Italia, il sistema delle aziende di trasporto pubblico locale e regionale impiega più di 124mila addetti, trasporta 5,4 miliardi di passeggeri l’anno. Il mercato del Trasporto pubblico locale (Tpl) italiano è al quarto posto in Europa per dimensione economica, con un fatturato che supera i 12 miliardi di euro. Tuttavia, si colloca abbastanza distante dai valori registrati nei tre Paesi che lo precedono, tutti con fatturati ampiamente superiori ai 20 miliardi di euro. Grazie a un’offerta di qualità capace di attrarre volumi crescenti di traffico, nei principali Paesi europei, la mobilità collettiva è in grado di generare un fatturato più che doppio rispetto a quello prodotto in Italia (28,1 miliardi di euro in Germania, 26,8 in Francia e 23,3 nel Regno Unito). Sono circa 930 le aziende presenti nel comparto, per un totale, come detto prima, di 124mila addetti. Gran parte del servizio viene offerto da società a partecipazione pubblica.
Entriamo nel merito della attuale offerta di trasporto pubblico locale e analizziamo alcuni dati. L’estensione della rete metropolitana in Italia, pari a circa 240 chilometri, è ancora al di sotto di quella della sola Madrid e lontana dagli oltre 672 chilometri del Regno Unito, dai 648 chilometri della Germania o dai 610 chilometri della Spagna. Situazione analoga per le tramvie, la cui lunghezza complessiva in Italia è pari a 342 chilometri rispetto ai 755 chilometri della Francia o ai 2.013 chilometri della Germania, e per le ferrovie suburbane, che in Italia si estendono per 672 chilometri a fronte dei 1.695 del Regno Unito o ai 2.038 chilometri tedeschi.
Per quanto riguarda le caratteristiche del parco autobus, una recente indagine condotta da Asstra, in collaborazione con Cdp, mostra una condizione del parco mezzi italiano che, seppur in lieve miglioramento, soprattutto sul fronte delle emissioni inquinanti, continua tuttavia a caratterizzarsi per un’età media molto elevata, raggiungendo nel 2018 i 12,3 anni, rispetto ai circa 7 anni della media europea. Il numero di passeggeri trasportati annualmente in rapporto al numero dei residenti rappresenta un altro indicatore significativo dello stato del servizio Tpl in Italia. Anche in questo caso, l’area Sud e Isole registra un considerevole svantaggio rispetto alle altre; il dato nazionale è infatti 185,2 mentre quello del Mezzogiorno ammonta a 56,6 (essendo quindi oltre tre volte inferiore.
Queste criticità che contraddistinguono l’offerta del Trasporto pubblico locale contribuiscono notevolmente a rendere inefficiente il sistema della mobilità, con conseguenti costi elevati per la collettività e notevoli danni alle economie locali. In proposito, la commissione europea stima che nella Ue il costo della congestione stradale sia pari a circa il 2 per cento del Pil all’anno, quello indiretto connesso all’incidentalità sia pari a un ulteriore 1,5 per cento e quello riconducibile all’inquinamento atmosferico e acustico ad almeno lo 0,6 per cento. Per quanto riguarda i costi connessi alla congestione (tempo perso nel traffico e incidentalità), nel 2018 gli abitanti di Roma hanno perso 254 ore nel traffico, essendo la seconda città al mondo, dopo Bogotá, dove si trascorrono più ore nel traffico. Anche il resto d’Italia non si posiziona bene.
Sono ben cinque le città italiane nella classifica delle prime 25 città al mondo per ore perse nel traffico. Nel 2018 in ben 55 capoluoghi di provincia sono stati superati i limiti giornalieri previsti per le polveri sottili o per l’ozono (per 35 giorni sono stati superati i limiti imposti per Pm10 (livelli di concentrazione di polveri fini) e per 25 giorni quelli per l’ozono. Un anno segnato anche dal deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia europea in merito alle procedure d’infrazione per qualità dell’aria, al quale potrebbero seguire rilevanti sanzioni economiche.
Veniamo agli stanziamenti del Fondo trasporto pubblico locale (cioè del Fondo che garantisce il ripiano dei disavanzi accumulati dai gestori della offerta di trasporto pubblico locale): nella legge di Bilancio triennale 2022-2024 l’importo ammonta a circa 4.989,5 milioni per il 2022, a 5.093,5 milioni per il 2023 e a 5.180,5 milioni per il 2024. Senza dubbio, le modifiche sostanziali al parco privato, e la serie di interventi sul parco destinato a garantire la mobilità pubblica, imporranno non solo una sostanziale riforma dell’intero sistema ma anche una rivisitazione sostanziale delle relative coperture finanziarie. Per anni, infatti, abbiamo inseguito una riforma del Trasporto pubblico locale e per anni abbiamo vissuto questa esperienza come un sistematico scontro tra organo centrale ed organo locale, tra Stato e Regioni e Comuni. Per anni si è cercato di rivedere i parametri legati ai costi dell’esercizio e non si è mai affrontato, in modo organico, una rivisitazione sostanziale della offerta.
Questo sintetico quadro di emergenze e di iniziative porta a una prima conclusione di tipo macro-economico. Per rispettare i nuovi vincoli imposti dalle Direttive comunitarie e, al tempo stesso, tenere conto dello stato attuale della offerta nell’intero territorio nazionale ed in particolare preso atto della forte distanza tra la offerta del Sud e quella del Centro-Nord, occorrerebbe un immediato passaggio dall’attuale impegno dello Stato pari a circa 5 miliardi di euro l’anno a una soglia minima annuale di circa 13 miliardi di euro (a tale importo si è arrivati leggendo tutti i piani e tutte le esigenze avanzate dalle varie aziende, tutte mirate essenzialmente ad un abbattimento dell’inquinamento e ad una ottimizzazione della offerta attraverso interventi infrastrutturali ed all’acquisto di un numero rilevante di nuovi mezzi di trasporto) di cui al Sud andrebbe destinata una soglia minima annuale di 7 miliardi di euro.
Lo Stato, inoltre, dovrebbe sostenere concretamente il lancio del Trasporto pubblico locale anche attraverso una partecipazione sostanziale (almeno il 40 per cento) del costo dell’abbonamento (tra l’altro le famiglie italiane spendono per il trasporto locale utilizzando la propria auto oltre 16 miliardi di euro). Contestualmente a queste azioni mirate al mantenimento in esercizio dell’intera offerta, occorrerà dare immediata attuazione alle seguenti iniziative infrastrutturali:
– dagli attuali 240 chilometri di reti metropolitane (è utile ricordare che prima della Legge Obiettivo, cioè prima del 2001 disponevamo di soli 45 chilometri) passare, entro i prossimi cinque anni, almeno entro il 2030, ad una soglia fisiologica di almeno 400 chilometri;
– dagli attuali 672 chilometri di linee ferroviarie suburbane passare, sempre entro il prossimo quinquennio, almeno entro il 2030, ad una soglia di 800 chilometri.
Questa lunga documentazione, prodotta o da varie riforme e da una analisi dettagliata prodotta dall’Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva, porta automaticamente a una serie di considerazioni e, soprattutto, di preoccupazioni e, al tempo stesso, impone un codice comportamentale caratterizzato da una rivisitazione urgente ed integrale dell’intero sistema di organizzazione del traporto pubblico:
– nelle grandi aree metropolitane;
– nelle medie aree metropolitane;
– nelle piccole realtà urbane;
– nei collegamenti, tra insediamenti urbani, con caratteristica di “pendolarismo”.
Una rivisitazione urgente del reale parco mezzi su gomma con relativa età e contestuale identificazione delle ubicazioni e dei centri manutentivi- Un focus mirato su:
– reti metropolitane in termini di chilometri e di gestione delle singole tratte;
– reti ferroviarie gestite da Ferrovie dello Stato;
– reti ferroviarie secondarie gestite da Società pubbliche e private;
– nodi di interscambio modale tra distinte reti ed ottimizzazione della qualità dei nodi stessi attraverso un adeguato pluriuso funzionale degli stessi.
In fondo, un simile focus serve essenzialmente come base per ridisegnare in modo capillare una nuova offerta di trasporto sia infrastrutturale che gestionale. Una serie di sessioni della Conferenza Stato Regioni/Comuni mirata proprio alla rilettura organica di una nuova normativa.
Concludo, quindi, ribadendo che:
– dopo questa lunga prospettazione dei cambiamenti imposti dalla Unione europea sia sul parco automobilistico privato, sia sul parco automobilistico legato alla gestione della offerta pubblica;
– dopo aver recepito le obbligate indicazioni, sempre della Unione europea, di privilegiare il trasporto su reti metropolitane e ferroviarie;
– dopo aver compreso la importanza delle risorse assegnate per tali finalità nel Pnrr;
– dopo aver preso atto che per almeno un quinquennio il Fondo legato al Trasporto Pubblico locale deve passare da 5 miliardi l’anno a circa 13 miliardi di euro;
– dopo aver preso atto che di tale importo al Mezzogiorno, per il grave stato della attuale situazione sia della offerta infrastrutturale che di quella assicurata anche da mezzi di trasporto su gomma, deve essere assegnata una soglia di almeno 7 miliardi di euro e che nella definizione di una simile assegnazione sarà opportuno che il rapporto non sia tra singola regione del Sud e lo Stato ma, come più volte ribadito, sia tra le otto Regioni del Sud e lo Stato sarà opportuno da subito evitare convegni e dibattiti e generici impegni programmatici su una emergenza che va affrontata subito sia per la sua complessità, sia per la onerosa esigenza di risorse, sia per il non facile passaggio dalle decisioni procedurali a quelle realizzative e gestionali.
Questo impegno, a mio avviso, deve trovare già nel mese di marzo 2024, in occasione della presentazione del Documento di economia e finanza (Def) un definito strumento riformatore dell’intero impianto strategico. Più volte ho ricordato che questo Governo si avvia ad essere un Esecutivo di legislatura e quindi fra quattro anni dovrà presentare un bilancio difendibile delle scelte fatte e portate a temine; quella del Trasporto pubblico locale, alla luce dei cambiamenti prodotti a scala comunitaria, sicuramente sarà un riferimento chiave per l’apprezzamento dell’operato di una intera legislatura.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 18 gennaio 2024 alle ore 11:14