Concessioni balneari: la cassazione riapre i giochi

Una piccola boccata d’ossigeno per i titolari di concessioni demaniali marittime turistico balneari che vivono ormai da anni in una situazione di assoluta precarietà a causa di una erronea interpretazione della Direttiva numero 2006/123/Ce meglio conosciuta come Direttiva Bolkestein. La direttiva prende il nome dell’allora commissario europeo per il Mercato interno e i servizi Frits Bolkestein. Politico ed economista olandese che ebbe ad affermare: “Per quanto mi riguarda, le concessioni balneari non sono servizi ma beni, e quindi la libera circolazione dei servizi non va applicata alle concessioni delle spiagge”. Da economista, non avrebbe potuto dire altrimenti in quanto in economia aziendale la concessioni sono “beni immateriali che vengono iscritti in bilancio nell’attivo dello stato patrimoniale tra le immobilizzazioni immateriali”.

Non è servito a nulla neanche “l’interpretazione autentica” dell’ideatore della Direttiva numero 2006/123/Ce. La Corte suprema di Cassazione con sentenza numero 32559/2023, pubblicata giovedì 23 novembre scorso, ha azzerato la precedente sentenza del Consiglio di Stato che aveva annullato la proroga delle concessioni al 31 dicembre 2033 disponendo che le concessioni fossero limitate al 31 dicembre 2023. La Cassazione, nella sentenza, ha stabilito che “la sentenza impugnata di conseguenza è affetta dal vizio di eccesso di potere denunciato sotto il profilo dell’arretramento della giurisdizione rispetto alla materia devoluta alla cognizione giurisdizionale del giudice amministrativo”. In sostanza il rinvio al Consiglio di Stato, che dovrà di nuovo pronunciarsi, ha evidenziato che il massimo organo della giustizia amministrativa dovrà di nuovo pronunziarsi e dovrà tenere conto anche delle leggi del Governo e del Parlamento che hanno esercitato “i poteri normativi loro spettanti”.

In sostanza, la Cassazione ha ritenuto che il Consiglio di Stato abbia esercitato un “indebito esercizio di poteri”. La sentenza apre uno spiraglio per la risoluzione di un problema che investe oltre 30mila micro e piccole imprese, in larghissima parte a conduzione familiare. Almeno fino al 31 dicembre 2024, con possibilità di slittamento al 2025, i Comuni non potranno bandire le gare fino alla adozione dei decreti legislativi previsti dalla legge sulla concorrenza. La mappatura, che è stata fatta dal Governo, sulle concessioni in essere, ha accertato che le attuali concessioni riguardano appena il 33 per cento delle spiagge disponibili per le concessioni demaniali. Se l’obiettivo, mal interpretato della Direttiva Bolkestein, era quello di aumentare la concorrenza nel settore dell’industria della balneazione, si potrebbe procedere al bando di nuove concessioni in modo da ampliare l’offerta di strutture a vantaggio dei consumatori che potranno scegliere quelle che offrono i migliori servizi a prezzi più contenuti.

La concorrenza si persegue ampliando gli operatori (come le licenze dei taxi) e non sostituendo, con bando, quelli attualmente in essere e che hanno contribuito al successo della nostra industria turistica che contribuisce al 13 per cento del Pil e ad oltre il 12 per cento dell’occupazione. Più concessioni significa: più introiti per lo Stato, più concorrenza senza distruggere un comparto di eccellenza della nostra industria turistica. Nell’interesse del Paese, il Governo Meloni deve contrastare una direttiva che danneggia un settore economico di eccellenza della nostra nazione!

Aggiornato il 28 novembre 2023 alle ore 11:13