Non ci sono più i governatori delle banche centrali di una volta. La Manovra sui tassi d’interesse di riferimento da parte del governatore delle banche centrali era l’atto più importante di politica monetaria che veniva adottata dagli Istituti di emissione della moneta legale. L’obiettivo del banchiere centrale era quello di mantenere il potere d’acquisto della moneta e tenere a bada l’inflazione attraverso politiche finalizzate a restringere il credito nei periodi di surriscaldamento dell’economia e alleggerire i tassi nei momenti di stagnazione dell’economia. Aumentare i tassi d’interesse di riferimento aveva lo scopo di ridurre la propensione al consumo delle famiglie e agli investimenti delle imprese. Al contrario, ridurre i tassi d’interesse significava stimolare l’economia in quanto a minore costo del denaro corrispondeva una maggiore propensione al consumo per le famiglie e agli investimenti per le imprese. Le poche volte che il governatore di una banca centrale interveniva pubblicamente era considerato un momento solenne.
Le loro manovre sui tassi d’interesse erano scelte che avevano prospettive economiche di medio termine. La loro autonomia rispetto al potere politico era ed è ampiamente giustificata dal fatto che non dovevano essere influenzati dal potere politico sulle loro decisioni strategiche. Le decisioni di politica monetaria e sui tassi d’interesse avevano riflessi macroeconomici e influenzavano le scelte degli operatori professionali sui mercati finanziari e sulle decisioni d’investimento in prospettiva degli imprenditori e delle famiglie.
Da quando Christine Lagarde presiede la Banca centrale europea, la sua modalità di comunicazione ha lasciato sconcertati gli operatori economici e gli stessi studiosi di macroeconomia. Da quando Lagarde presiede l’Istituto di emissione dell’euro non ne ha azzeccata una anche se si è auto assegnata un voto positivo sul suo operato. Si è accodata pedissequamente alla politica sui tassi d’interesse della Federal Reserve americana anche se le condizioni oggettive relative all’economia e all’inflazione erano decisamente diverse.
Negli Usa, l’aumento dei tassi d’interesse aveva l’obiettivo di raffreddare il surriscaldamento dell’economia che continuava a crescere da anni senza soluzione di continuità e con tassi di disoccupazione che in una economia di mercato sono considerati entro limiti fisiologici. In Europa, invece, l’inflazione non è stata generata dalla crescita economica ma dalla esplosione dei prezzi delle materie prime e dalla energia prodotta da gas e petrolio. Fonti fossili che hanno avuto una crescita esplosiva subito dopo l’invasione della Federazione Russa in Ucraina e l’embargo alle importazioni di gas e petrolio dalla Russia da parte dell’Europa. Ha alzato per ben 10 volte consecutive i tassi d’interesse di riferimento per il mercato del credito dallo zero virgola al record storico del 4,5 per cento dalla introduzione dell’euro. Le conseguenze di una politica così restrittiva sono state nel migliore dei casi la stagnazione e nella peggiore la recessione economica. Ha provocato la riduzione drastica degli impieghi delle banche che hanno significativamente ridotto i finanziamenti alle imprese (credito alla produzione) e alle famiglie (credito al consumo). In Italia i mutui per l’acquisto della casa si sono ridotti nel 2023 di un terzo.
L’unica attenuante all’operato che può essere concesso a Christine Lagarde è che il board della Bce è composto dai governatori delle banche centrali dei singoli Paesi che adottano l’euro. È l’unico esempio, in negativo nella storia economica, di una moneta nata senza uno Stato e un’unica politica. Ad ogni riunione si scontrano i falchi (Paesi frugali capitanati dalla Germania) e le colombe che rappresentano i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il paradosso che si sta verificando sui mercati è una riduzione dei tassi d’interesse a prescindere dalla Bce in quanto l’inflazione sta scendendo più rapidamente di quanto previsto dalla Banca centrale europea. Nel mese di ottobre l’Istat ha diramato i dati provvisori sull’inflazione che hanno visto scendere i prezzi medi dello 0,1 per cento, determinando un tendenziale dell’1,8 per cento dal 5,3 precedente. Non sono più i banchieri centrali a governare la massa monetaria in circolazione ma i mercati finanziari ai quali le banche centrali si adeguano.
Aggiornato il 03 novembre 2023 alle ore 10:37