Sicuramente coloro che fanno parte di quel club che spesso ho definito “club della intellighenzia economica del Paese” avranno più volte detto: “Non trova nessuna giustificazione l’interesse delle Ferrovie dello Stato per la gestione di segmenti ferroviari di altri Paesi dell’Unione europea”. In realtà, ricordo a coloro che commettono un simile errore alcuni passaggi strategici che spesso o abbiamo dimenticato o, forse, preferiamo dimenticare perché in alcuni di noi non è mai albergato il concetto di “Unione europea”. Ebbene, dal 1984 al 1986, durante la redazione del Piano generale dei trasporti, gli esperti che lavoravano alla redazione dello strumento pianificatorio (tra cui il Premio Nobel Wassily Leontief) proposero all’allora ministro dei Trasporti, Claudio Signorile, di sottoporre alla Commissione europea (allora erano solo 12 i membri della Comunità) di redigere un “Master Plan dei trasporti della Comunità”. E, sempre gli esperti del Piano generale dei trasporti, prospettarono anche i riferimenti chiave di tale strumento. La proposta fu condivisa dalla Commissione e sottoposta al Parlamento europeo e, nel 1987, il Master Plan fu approvato formalmente. Quel Master Plan praticamente anticipò il sistema delle Reti Ten-T, anticipò cioè le scelte che il Commissario europeo ai trasporti, Henning Christophersen, propose e fece approvare nel 1994.

All’interno del Master Plan, ripeto quello indicato dagli esperti del Piano generale dei trasporti, il suggerimento più lungimirante e innovativa era la chiara volontà che la griglia ferroviaria per la sua forza strategica e per le sue capacità di integrazione funzionale fra Stati fosse gestita da organismi anche non legati alle singole nazionalità, ai singoli ambiti geografici. Senza dubbio per una serie di motivi tra cui ciò che chiamiamo “interoperabilità” la rete ferroviaria garantisce davvero la libera circolazione delle persone e delle merci nell’intero assetto comunitario.

A questo ricordo che possiamo definire storico ne aggiungo un altro: nel 1998 l’allora commissario ai Trasporti della Unione europea Neil Kinnock con un atto formale fece presente che le ferrovie europee rischiavano di diventare una offerta di trasporto marginale e, addirittura, non avrebbe più avuto senso investire tante risorse per la loro realizzazione e questo, sempre secondo Kinnock, “avrebbe provocato un forte danno all’ambiente e avrebbe compromesso la forza aggregante, di tale impianto per i vari Stati”. Kinnock denunciò anche alcuni dati:

1) il trasporto delle merci su ferrovia in Germania era passato negli ultimi cinque anni dal 32 per cento al 23 per cento;

2) nei Paesi della Unione europea il valore medio era passato, sempre dal 1993 al 1998, dal 25 per cento al 12 per cento;

3) in Italia dal 15 per cento al 8 per cento.

Questi dati, ribadì, Kinnock non potevano lasciare indifferenti i singoli Stati della Unione europea per cui era fondamentale ed urgente che si costruisse un Piano mirato a rilanciare la offerta ferroviaria e, soprattutto, un Piano che coinvolgesse direttamente ed indirettamente i singoli gestori; dovevano essere i singoli gestori gli attori e i gestori di reti e di collegamenti anche non ricadenti all’interno dei propri Stati di appartenenza. In fondo penso che questa scelta di uscire dal banale localismo rappresenti, forse, uno dei pochi segnali di riconoscimento e di apprezzamento dello “spirito comunitario” e dovremmo essere orgogliosi che le Ferrovie dello Stato abbiano accolto e data concreta attuazione ad una esigenza sovra nazionale.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 30 ottobre 2023 alle ore 10:30