Pnrr: il rischio che l’Ue blocchi le rate

Riporto un dato ufficiale (vedi qui) ripreso da più giornali e, soprattutto, utilizzato da vari ministri nella miriade di convegni che si sono susseguiti durante il mese di agosto. Ritengo utile fare prima una precisazione che penso sia fondamentale anche per l’attuale Governo, che è senza dubbio carico di buona volontà e di convinto impegno a “fare”: rammento che il concreto avvio di un’opera infrastrutturale non è legato alla concreta redazione degli elaborati progettuali, non è legato alla conclusione della fase autorizzativa (valutazione ambientale strategica, verifica di impatto ambientale, parere del Ministero dei Beni culturali, copertura finanziaria da parte della Ragioneria generale dello Stato, decreto di approvazione del Cipes e registrazione della Corte dei conti). E non è legato alla aggiudicazione dei lavori, ma solo, come ho ribadito più volte, al pagamento del primo Stato avanzamento lavori (Sal). Evitiamo, quindi, di entusiasmarci e di gridare al miracolo per i 166mila bandi di gara effettuati nei primi otto mesi del 2023 perché sarebbe bene conoscere:

– quante gare si sono concluse;

– quante stazioni appaltanti hanno dato corso al reale affidamento delle opere con relativa apertura dei cantieri;

– quale sia stata la soglia finanziaria degli Stati di avanzamento lavori realmente erogata.

Senza dubbio, in soli otto mesi è difficile disporre già di una soglia finanziaria di Sal erogati apprezzabile, tuttavia da una indagine sommaria oggi siamo solo alla richiesta di anticipazioni (variabile tra il 20 per cento e il 30 per cento) e finora risultano erogati forse appena 1,3 miliardi di euro, ma di di un avanzamento lavori reale e di cantieri realmente aperti non superiamo una soglia percentuale del 4-5 per cento. La cosa più grave è che delle 145mila gare per un totale di 185,6 miliardi di cui 4,3 miliardi legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza e partite, come detto prima, nei primi otto mesi del 2022, allo stato l’unico dato concreto in termini di erogazione delle risorse è quello relativo alle anticipazioni, il cui valore non supera la soglia di 5-6 miliardi di euro. Invece, sull’avanzamento reale dei Sal, e quindi sul reale rispetto dei vari cronoprogrammi dei lavori in corso, siamo ancora in fase di organizzazione dei cantieri e nella fase di acquisizione delle aree.

Ma il dato che preoccupa di più non solo è la limitata capacità della spesa realmente attivata ma che di tale importo, quello legato al Pnrr relativo al 2022, il valore delle opere non superi i 4,3 miliardi e nel 2023, sempre relativo a opere del Pnrr, si attesti a una soglia di 40 miliardi di euro. Cioè, siamo praticamente fermi a un importo di 44,3 miliardi di euro; una soglia davvero minima se si pensa che il Pnrr era partito con un elenco dettagliato di interventi agli inizi del 2021. In realtà dopo tre anni siamo ancora lontani da un avvio organico e diffuso dell’intero Piano. Di fronte a questi dati, ripeto non quelli sul numero di bandi di gara partiti e quelli legati a previsioni ottimistiche di reale attivazione della spesa, ha fatto benissimo il ministro Raffaele Fitto a identificare una possibile proposta che, in un certo senso, offre un respiro, anche se minimo, di oltre due anni alla scadenza del giugno 2026. Una proposta che, spalmando tutte le proposte non solo nel Pnrr, non solo nel Pnc (Piano nazionale complementare) ma anche nel Fondo di coesione e sviluppo ha reso possibile traguardare la data del 2029. Questa proposta, sperando sempre che l’Unione europea la condivida, è l’unica che forse riuscirà a ridimensionare il fallimento di un Piano come il Pnrr, che avrebbe potuto avere successo solo se il nostro Paese avesse mantenuto il livello di spesa sostenuto dalla legge Obiettivo; un livello di spesa che solo per le opere infrastrutturali aveva raggiunto, in dodici anni, 144 miliardi di euro e ora in tre anni per le opere infrastrutturali del Pnrr non superiamo la soglia dei 4 miliardi di euro.

Sarò monotono ma non posso non ricordare i motivi di questa imperdonabile stasi. Tutti ormai ci siamo convinti che dal 2015 al 2022 le cause vadano ricercate nell’attenzione, dei vari governi che si sono succeduti, sia a garantire annualmente oltre 32 miliardi di euro per interventi in conto esercizio, sia a bloccare tutte le opere della legge Obiettivo, sia nel ricorrere a un Codice degli appalti, quello del 2016, in grado di bloccare ogni avanzamento delle opere. L’atteggiamento della Unione europea nel ritardare il pagamento della terza rata (dovevamo ricevere il pagamento entro il 31 di maggio, poi è slittato al 30 giugno, poi al 31 agosto, poi forse alla fine del corrente mese) è anche legato a questa difficile evoluzione procedurale che ormai da quasi dieci anni caratterizza il nostro Paese: in realtà, non siamo in grado di attivare concretamente la spesa.

Il ministro Giancarlo Giorgetti proprio pochi giorni fa ha ribadito: “Mentre saremo molto prudenti nella definizione della legge di Stabilità 2024 nella spesa in conto esercizio, non ostacoleremo quella in conto capitale”. Una precisazione ampiamente giusta, se si tiene conto che attraverso gli investimenti in conto capitale, attraverso sistematiche erogazioni alle imprese di costruzione di Stati di avanzamento lavori (Sal), cresce, davvero, il Prodotto interno lordo. Ora, come ho detto altre volte, questo Governo ha ottime possibilità di rimanere in carica per l’intera legislatura e quindi non può motivare il fallimento del Pnrr, elencando le responsabilità dei passati Governi ma, soprattutto, sa che il bilancio alla fine del mandato verterà in modo rilevante nella sua capacità di aver concretamente fatto ripartire la macchina della infrastrutturazione organica del Paese. E allora penso sia necessario ed urgente dare vita a un confronto sistematico con l’Ance. Sì, con l’Associazione nazionale costruttori edili e con le grandi imprese di costruzione, per identificare le criticità che incrinano il percorso evolutivo che porta alla reale apertura dei cantieri e, al tempo stesso, capire la causa dei ritardi della Pubblica amministrazione e delle principali stazioni appaltanti nella erogazione delle risorse. Ma il Governo non solo deve, attraverso questo confronto, capire le criticità ma deve anche risolverle perché, solo a titolo di esempio, se lo stesso Governo e il Parlamento hanno condiviso la possibilità per una impresa vincitrice di una gara di chiedere il 30 per cento di anticipo, per quale motivo tale erogazione debba avvenire dopo mesi o dopo un anno. Sono questi esempi che sicuramente rendono immediatamente leggibile una delle motivazioni della incapacità della spesa.

Colgo inoltre l’occasione per dare un consiglio all’Ance e al mondo delle costruzioni in generale: non insegua momenti altalenanti di grande condivisione nei confronti del Governo e momenti di forte critica, momenti di apprezzamento dei provvedimenti e momenti di forte preoccupazione; ad esempio, non si illuda il mondo delle costruzioni del successo innescato dal Superbonus del 110 per cento. Senza dubbio, si è trattato di una boccata di ossigeno. Ma molto ossigeno di solito fa girare la testa; oggi, infatti, stiamo capendo che la norma ha provocato solo forti e preoccupanti illusioni e ha spesso dato origine a soggetti imprenditoriali senza storia. Potrei continuare nella elencazione delle criticità che il mondo dei costruttori conosce benissimo ma mi fermo qui. Ritengo però che sia urgente superare questa fase perché, ripeto fino alla noia, trovare soddisfazione solo per il numero di gare bandite significa caricarsi di ottimismo. Vuol dire accontentarsi solo di pura statistica. Sono passati quasi tre anni dall’avvio del Pnrr. Senza un’operazione d’urto rischiamo di assistere, nei prossimi tre anni, al mancato raggiungimento di risultati accettabili. Lo so che la mia non è una denuncia inascoltata come, purtroppo, è successo in passato.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 24 ottobre 2023 alle ore 09:19