Della Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef) si conoscono alcuni degli elementi portanti ma ancora non sono note tutte le valutazioni quantitative che solitamente la accompagnano. Di conseguenza, i condizionali sono ancora d’obbligo soprattutto per quanto riguarda gli scenari relativi agli anni 2025 e 2026. Ciò premesso, il quadro è – in larga misura – quello già noto. La Nadef disegna una linea di politica di bilancio prudente e misurata (ma non tanto da garantire una discesa particolarmente decisa del rapporto fra debito e prodotto) in un contesto macroeconomico che dovrebbe essere segnato, nel prossimo triennio, da tassi di crescita sostenuti – è presumibile – dalla attuazione piena ed efficace del Piano nazionale di ripresa e resistenza. Gli elementi di rischio di questa strategia sono evidenti. Il sentiero disegnato dalla Nadef rimane particolarmente stretto e non resta che augurarsi che il Governo abbia valutato con attenzione ogni fattore in campo.
Fra questi elementi di rischio il dibattito di questi giorni ne ha segnalati due che non vorremmo però considerare tali. Il Ministro dell’Economia è, come il Bruto shakespeariano, un uomo d’onore e di conseguenza siamo certi che nel momento in cui porta da 1,5 a 2 miliardi di euro i proventi della Spending review (minacciando di sostituirsi ai colleghi inadempienti) o nel momento in cui cifra in 20 miliardi di euro i proventi da privatizzazioni nel prossimo triennio lo fa essendo pienamente consapevole dell’impegno che sta assumendo. Un impegno – sia detto con chiarezza – tanto più apprezzabile in quanto sarebbe stato molto più semplice e politicamente innocuo ricorrere, come spesso è stato fatto in passato, ai mitici proventi della lotta all’evasione. E invece no, si è scelto di disegnare una politica di bilancio in cui il perimetro dell’operatore pubblico si restringe tanto sul versante della spesa corrente quanto su quello delle partecipazioni.
Sia chiaro, in termini ancora marginali sul versante della spesa ma viceversa ambiziosi sul versante delle partecipazioni. Rimane comunque il fatto che dovendo far tornare i conti non si è guardato subito, come sempre si è fatto, al versante delle entrate. È probabile che – come molti sostengono – tanto l’impegno in tema di Spending review quanto quello in termini di privatizzazioni si rivelino vuote parole. Escamotage per puntellare una traiettoria di finanza pubblica altrimenti pericolante. Se così fosse comincerebbe ben presto la rincorsa affannosa per tappare i buchi di un bilancio pubblico già minato a sufficienza dalle scelte di alcuni governi del recente passato.
Ma soprattutto il messaggio sarebbe devastante per un settore privato che si aspetta di ritrovare un po’ degli spazi di manovra che pressoché tutti i governi del secolo gli hanno sottratto. Con il risultato di minare le residue prospettive di crescita. Le promesse fatte dall’opposizione servono solo a definire l’identità dei movimenti politici. Nulla di più, e gli elettori lo sanno bene e non le valutano quanto la carta su cui sono scritte. Ma gli impegni assunti dal Governo hanno ben altra natura e ben altre conseguenze. E Bruto non può non saperlo.
(*) Consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 02 ottobre 2023 alle ore 15:40