Perché la benzina costa sempre di più?
Com’è non è sufficientemente noto, una delle cause del fallimento della dittatura sovietica fu una mossa del presidente statunitense Ronald Reagan, coordinata da uno studio della Cia e cogestita con l’Arabia Saudita. A metà anni Ottanta, l’economia russa andava a rotoli, sia per i costi della fallimentare invasione dell’Afghanistan sia per l’aumento delle spese militari, dovute alle (parziali) fake news sul programma militare-spaziale “Guerre stellari” lanciato da Reagan.
Nel 1985 il 35 per cento delle entrate del Paese-guida del comunismo mondiale dipendeva dall’esportazione di idrocarburi. Nella primavera del 1986 il prezzo di un barile di petrolio scese sotto i dieci dollari. Crollarono le entrate in petrodollari. Il Cremlino cercò di migliorare le tecniche di estrazione, rimaste a un livello preadamitico, ma le esportazioni non aumentarono, mentre gli investimenti effettuati aggravarono i conti. Da Mosca il petrolio veniva venduto ai Paesi occidentali a un prezzo inferiore rispetto a quello imposto all’Europa orientale. I prestiti bancari europei triplicarono in tre anni.
Nel 1985 il direttore della Cia, Bill Casey, era stato inviato in Arabia con una richiesta che mise nell’angolo il principe Turki bin Faysal Al Sa’ud: se volete evitare che l’Afghanistan islamico cada sotto la Russia, dovete produrre più petrolio. Fu la goccia che fece crollare la diga costruita da Lenin e Stalin. Sarà sempre il petrolio arabo ad assassinare le democrazie occidentali?
MALIZIA O MERCANTILISMO DEI PAESI PRODUTTORI?
Le nazioni dell’Opec stanno replicando il modello del 1973, quando alzarono il costo del petrolio e insieme diminuirono la produzione, in risposta alla vittoria israeliana dello Yom Kippur. La conseguente crisi energetica mise in ginocchio l’economia europea e impose un’inversione di marcia rispetto al nostro sostegno a Israele. Oggi non si dovrebbe pensare a una volontà politica nelle mosse dell’Opec, quanto piuttosto alla voglia di guadagnare di più. Di sicuro, all’Opec (come alla Russia) non piace il Piano europeo di transizione energetica “green”. Siamo quindi di fronte a un ricatto economico?
Quando il costo della benzina cresceva verso i due euro a litro, l’opinione pubblica italiana (che quasi sempre la sa corta) ululava contro gli speculatori, sostenendo che il prezzo al barile era basso, e così fiorivano i florilegi contro Eni e gli americani (gli italiani trovano sempre il modo di accusare di ogni male gli Stati Uniti).
Invece, adesso il prezzo del petrolio è salito anche alla fonte, e la soluzione della crisi appare più complessa dell’infilare un dito nell’occhio di Joe Biden o Donald Trump. L’inflazione continua a salire così come il costo del denaro decretato dalla amica geniale Christine Lagarde (i cui trascorsi con l’imprenditore e politico d’assalto Bernard Tapie non sono del tutto cristallini).
CRESCE LA DOMANDA DI INDIA E CINA, SOLUZIONI SBAGLIATE IN ITALIA
In effetti, secondo le leggi del mercato, arabi, Opec e altre nazioni produttrici fanno bene ad alzare il prezzo del barile. La domanda di petrolio, se avrà un rialzo molto leggero nei Paesi Ocse, sarà impetuosa anche nel 2024 per India, Cina e altre tigri asiatiche, senza trascurare Brasile e Stati Uniti (la cui produzione di shale oil è in calo). La somma di questi fattori porta a una soglia critica di 100 dollari al barile, e in questa settimana siamo già sui 95 dollari.
Di fronte a ciò, suonano stonati il bonus benzina e altre soluzioni proposte dal Governo, non distanti dall’elemosinismo radical shock del Partito Democratico e dintorni: dare un “conforto” di 80 euro al mese a famiglie in crisi non risolve il problema di quei nuclei. Anzi, aggraverebbe i problemi di tutte le famiglie. I costi del trasporto – si sa – sono la prima causa dell’inflazione. Quindi, sarebbe preferibile dare un sostegno ai trasporti di beni essenziali come cibo e medicine, perché non ha senso risparmiare sull’auto che forse non hai o non usi più, se poi quando vai al supermercato per la spesa settimanale spendi più di un pieno di benzina.
TRA NUCLEARE PULITO E IDROGENO
Sarà possibile uscire dal petrolio, in concreto? Sulle rinnovabili da biocarburanti arrivano notizie non confortanti. Positiva, invece, l’apertura del Governo guidato da Giorgia Meloni sul nucleare “pulito”. La Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile (Pnss) e lo stesso Ministero dell’Ambiente (Mase) propongono di aprire un piano di lavoro sul nucleare “sicuro”, come gli Small modular reactor (Smr-mini reattori) e i reattori nucleari di quarta generazione (Amr), intensificando la ricerca sul nucleare di fusione e di fissione.
Aggiornato il 23 settembre 2023 alle ore 10:27