Quanto pesa il dollaro

Il cambiamento degli equilibri internazionali, la crescita della Cina e l’allargamento dei Brics, organizzazione di economie emergenti che si propongono di creare un sistema di commercio alternativo a quello occidentale, ha conseguenze anche sul sistema monetario. Per Pechino e per i governi di altri Paesi emergenti, la sostituzione del dollaro statunitense come valuta di riferimento mondiale non è soltanto un’utopia, ma è diventato un obiettivo prioritario di politica estera ed economica. In riferimento a tale possibilità, gli analisti parlano di dedollarizzazione. Sfidare gli Stati Uniti sul terreno del dominio economico è un’ambizione comprensibile per quegli Stati che vedono nel Paese a stelle e strisce il principale rappresentante di un establishment mondiale al quale intendono sostituirsi. Il dibattito sulla dedollarizzazione, tuttavia, è influenzato da forzature ideologiche che tengono poco conto della realtà attuale. I dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bri) e del Fondo monetario internazionale (Fmi), infatti, descrivono un parziale ridefinizione dei rapporti tra valute, tra le quali il dollaro continua però a mantenere un grande distacco dalle altre. Per stimare il peso di una moneta si utilizzano due indicatori principali. Il primo è il grado di utilizzo negli scambi mondiali della valuta in questione; il secondo è relativo alla presenza della valuta nelle riserve monetarie, che rappresentano la disponibilità di moneta estera di banche centrali e altre autorità monetarie.

Per quanto concerne il primo indicatore, occorre una premessa tecnica: la somma delle percentuali di impiego di tutte le valute negli scambi è pari a 200 per cento. Questo concetto può apparire controintuitivo, ma la sua spiegazione è semplice. Si ipotizzi, per semplicità, che si scambino soltanto due valute: ciascuna verrebbe utilizzata nella totalità (quindi, nel 100 per cento) delle transazioni, per un totale, appunto, di 200 per cento. La quota del dollaro statunitense è dell’88 per cento, soli due punti percentuali in meno rispetto al 2001. Nello stesso periodo, l’euro ha perso più terreno, passando dal 37 per cento del 2001 all’attuale 30 per cento. La valuta unica europea mantiene, tuttavia, il secondo posto con grande distacco dal terzo, che è occupato dallo yen giapponese, coinvolto nel 16 per cento degli scambi. Lo yuan, la valuta cinese, si trova in quinta posizione, dietro la sterlina britannica, e ha una quota del 7 per cento. Per quanto riguarda la presenza delle valute nelle riserve monetarie, il Fmi descrive un declino maggiore per il biglietto verde, che continua comunque a mantenere saldo il suo primato.

Il peso di una valuta è influenzato da un insieme di fattori. Uno di questi è l’importanza dell’economia del Paese (o dei Paesi) di cui è la moneta principale, ma non è l’unico elemento da considerare. Gli Usa, infatti, rappresentano il 25 per cento dell’economia mondiale, mentre il dollaro ha quote molto superiori negli scambi internazionali. Incidono anche la credibilità e l’affidabilità del sistema economico a cui fa riferimento una valuta. Questa è la difficoltà maggiore che incontra la Cina per realizzare la sua ambizione di sostituire il dollaro: come può una Banca centrale la cui politica monetaria dipende direttamente dalle esigenze del Governo emettere una moneta di riferimento a livello globale? La perdita di terreno del dollaro può essere un motivo di preoccupazione per le autorità statunitensi e di entusiasmo per le economie emergenti che si contrappongono agli Usa, ma al momento non si intravede alcuna dedolarizzazione. Almeno non nel breve o medio periodo.

Aggiornato il 18 settembre 2023 alle ore 11:04