Sud, il costo del denaro e dei mutui

Ritengo opportuno ricordare che la Cassa del Mezzogiorno venne istituita nel 1950 con la Legge 646 come Ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico allo scopo di predisporre programmi, finanziamenti ed esecuzione di opere straordinarie dirette al progresso economico e sociale dell’Italia meridionale, originariamente da attuarsi entro un periodo di 10 anni (1950-1960). Uno degli ispiratori determinanti di una tale iniziativa fu Pasquale Saraceno, che quattro anni prima, nel 1946, aveva partecipato alla fondazione dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez). Pasquale Saraceno poteva contare su una squadra di altissimo livello come Donato Menichella, Francesco Giordani, Rodolfo Morandi e Nino Novacco. L’iniziativa fu supportata inizialmente con uno stanziamento di 100 miliardi di lire all’anno per i dieci esercizi dal 1951 al 1960: in complesso mille miliardi di lire, subito aumentati nel 1952 a 1.280 miliardi da utilizzare nel dodicennio 1951-1962. Ebbene Pasquale Saraceno rimase nel Consiglio di amministrazione della Cassa del Mezzogiorno presieduta da Gabriele Pescatore fino al 1973.

Ho ritenuto opportuno fare questa premessa per ricordare il ruolo di un grande economista nel processo di rilancio del Mezzogiorno, il ruolo di un convinto sostenitore di una crescita certa e misurabile del Mezzogiorno, di un meridionalista nato al Nord, in particolare a Morbegno (Sondrio), però da padre siciliano e madre campana. Ebbene, nel 1972 in un Convegno organizzato a Napoli dall’allora presidente del Banco di Napoli Ferdinando Ventriglia, Pasquale Saraceno, quale membro del Consiglio di amministrazione della Cassa del Mezzogiorno precisò: “Circa venti anni fa quando iniziai la non facile ma interessante esperienza della Cassa dissi che tre erano gli indicatori che dovevamo monitorare attentamente perché erano quelli che, sulla base degli investimenti che andavamo a realizzare, avrebbero dovuto subire un sostanziale cambiamento; mi riferisco al reddito pro capite, al tasso di disoccupazione e al costo del denaro. Dopo venti anni ci sono flebili segnali positivi sui primi due indicatori mentre sul terzo, purtroppo, non è cambiato nulla. E questo, devo essere sincero, è davvero preoccupante perché rappresenta il riferimento determinante per un processo di crescita. Sono sicuro che con le azioni che andremo a prendere proprio in questi prossimi anni attraverso il sostegno alle Aree di sviluppo industriale, il mondo bancario annullerà queste forme discriminanti nei confronti delle iniziative del Mezzogiorno”.

Sempre in quella occasione alcuni dei partecipanti al dibattito ricordarono che il costo del danaro nel Mezzogiorno scontava una serie di criticità quali: forme organizzate malavitose o mancato pagamento dei ratei che portavano il sistema bancario a essere molto attento nell’erogare mutui e dovendolo fare a far gravare su di essi una percentuale maggiore. Insisto nel ricordare il pieno convincimento di Pasquale Saraceno sul fattore “costo del denaro” nella crescita e nello sviluppo del Sud. Ebbene dopo mezzo secolo da quell’intervento di Pasquale Saraceno a Napoli la Federazione autonoma bancari italiani (Fabi) ha pubblicato una dettagliata analisi macro economica da cui emerge che: i mutui sono meno cari al Nord mentre gli interessi sono alle stelle nel Mezzogiorno e nelle Isole.

Cioè da questa analisi emerge che chi risiede nelle aree geografiche del Sud paga rate mediamente più alte rispetto a chi abita nel resto d’Italia. Sempre dallo studio emerge, solo a titolo di esempio, che chi abita nel Nord Est del Paese paga un tasso d’interesse pari al 3,9 per cento mentre chi abita in Campania o in Puglia paga un tasso di interesse pari al 4,23 per cento. Sono rimasto sconcertato nel leggere, ripeto dopo cinquanta anni, la dichiarazione di un rappresentante del mondo bancario identica a quella prodotta dopo l’intervento di Saraceno a Napoli del 1972. Infatti il segretario della Fabi Lando Maria Sileoni ha dichiarato: “Le differenze territoriali sul costo dei mutui dipendono da alcuni fattori di rischio; il Sud e le Isole sono, purtroppo, più indietro economicamente rispetto al Nord. Il numero dei fallimenti di imprese o di difficoltà economica sono numericamente più rilevanti e le famiglie faticano a pagare le rate dei prestiti e dei mutui”.

Dopo mezzo secolo, e possiamo anche dirlo dopo settantatré anni dalla istituzione della Cassa del Mezzogiorno, che doveva tra i suoi obiettivi fondamentali annullare quanto meno queste tre differenze e tra queste almeno quella legata al costo del denaro, non è praticamente cambiato nulla e, cosa ancor più grave, lo Stato non ha in tutti questi anni mai, dico mai, dichiarato apertamente che quel rischio denunciato dal Segretario della Fabi possa essere assorbito dallo Stato. Invece continuiamo a parlare di autonomia differenziata e assistiamo quasi inermi ad un dato vergognoso come quello che vede il reddito pro capite in Sicilia o in Calabria pari a 17mila euro e a Varese o Bergamo pari a 38mila euro o 36mila euro. Invece continuiamo ad assistere, senza comprenderne i rischi, a crisi come quella di Termini Imerese, come quella di Priolo-Augusta, come quella di Taranto.

Invece, e questo è davvero grave, ci stiamo abituando alla impossibilità di modificare e rendere omogenei quegli indicatori chiave prima elencati; eppure il Festival del Mediterraneo a Napoli nel marzo scorso ha ufficialmente prodotto una narrazione diversa, una narrazione che testimonia la presenza nel Sud di eccellenze e di fenomeni produttivi che penso dovrebbero portare il Governo ad assicurare il mondo della finanza da rischi che forse sono invocati per mantenere inalterato un atteggiamento comodo solo proprio per il mondo della finanza.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 05 settembre 2023 alle ore 10:34