Extraprofitti: una tantum per le banche, “una semper” per i clienti

Un Governo di centrodestra dovrebbe agire con politiche volte alla riduzione della spesa pubblica in conto esercizio piuttosto che sull’incremento delle imposte. Non ci è piaciuto l’intervento sulla tassazione degli “extraprofitti” (termine demagogico utilizzato dai grillini e dalla sinistra) anche se l’introito, secondo le intenzioni dell’Esecutivo, ha lo scopo di sostenere i ceti più deboli.

Il profitto per le imprese in una economia di mercato è sacro! Le aziende sono sane e possono crescere, se realizzano utili. Una impresa in salute, investe, assume nuovo personale, fa crescere il Pil e contribuisce alla spesa pubblica, pagando le relative imposte, le tasse e i contributi ai dipendenti. Qualsiasi intervento governativo che persegue l’obiettivo di ridurre il carico fiscale sulle persone fisiche, e sulle imprese, deve essere accolto positivamente. Il contenimento del prelievo fiscale e dei contributi ha effetti vantaggiosi sull’intero sistema economico, in quanto innesca quel circuito virtuoso sempre utile a far aumentare la capacità di spesa del contribuente. L’aumento del potere d’acquisto si ripercuote sull’incremento dei consumi con effetti benefici sull’attività produttiva.

Sono contrario, invece, a qualsiasi intervento politico finalizzato ad aumentare le imposte su alcune categorie, che già le pagano in una misura tale che ha raggiunto livelli da vero e proprio esproprio. La politica fiscale deve essere valevole per tutti. Il sostegno alle categorie veramente più fragili deve essere attuato con modalità diverse da quelle perseguite dalla sinistra, ovvero aumentando le imposte ai più ricchi per redistribuirle ai poveri. Il rafforzamento dei salari e degli stipendi deve passare per un generale alleggerimento della pressione tributaria e contributiva sul lavoro, senza aumentare il costo complessivo per i datori di lavoro, che sono costretti a competere sul mercato. A parità di costo del lavoro deve arrivare in busta paga al lavoratore un netto più alto.

La maggiore imposizione fiscale che sarà prelevata alle banche in ragione degli “extraprofitti”, che le stesse hanno conseguito per l’aumento dei tassi di riferimento conseguenza della dissennata politica monetaria attuata nell’ultimo anno dalla Banca centrale europea, è una situazione difficilmente ripetibile. I prestiti effettuati dalle banche ai propri clienti, con contratti stipulati a tasso variabile, hanno consentito alle aziende di credito di triplicare gli utili in forza del fatto che scattano gli automatismi previsti contrattualmente, in quanto il parametro di variabilità è ancorato ai tassi ufficiali decisi dalla Bce. Gli stessi automatismi di adeguamento dei tassi a favore dei risparmiatori non sono previsti dai contratti bancari.

I negozi giuridici sottoscritti con le banche sono “contratti di adesione” dove sussistono un contraente forte (le aziende di credito) e quello debole, che è il consumatore. Il depositante, per poter migliorare la redditività dei propri risparmi, deve andare in banca per cercare di negoziare un aumento dei tassi a suo favore. Spesso le banche rifiutano gli aumenti richiesti e l’unica possibilità che ha il risparmiatore è quella di cambiare banca.

Gli istituti di credito, che non sono enti di beneficienza, reagiranno all’aumento dell’imposta, incrementando i costi dei loro servizi ai clienti che sono, ex lege, obbligati ad intrattenere un rapporto di conto corrente per poter incassare lo stipendio o la pensione. E devono sostenere ulteriori spese per avere uno strumento alternativo al contante, anch’esso imposto per legge, per poter effettuare i pagamenti elettronici con l’uso del bancomat e/o carte di credito.

Da un Governo di centrodestra ci saremmo aspettati interventi non sulle imposte ma sull’attività del sistema bancario che è oggi lontana dalla funzione fondamentale che l’economia di mercato le assegna. Le banche sono imprese autorizzate alla “raccolta del risparmio e all’esercizio del credito”. Sono, per la loro attività di rilevanza economica, soggette al controllo delle autorità creditizie (la Banca d’Italia per quelle piccole e la Bce per le grandi banche). Sono le uniche imprese autorizzate ad utilizzare il risparmio raccolto per effettuare finanziamenti alle imprese e alle famiglie. In realtà, le banche stanno attuando una feroce stretta creditizia nei confronti sia delle aziende che dei privati con danni devastanti per l’economia. Utilizzano la massa fiduciaria di risparmio raccolto per effettuare impieghi che minimizzano i rischi dell’attività caratteristica, che dovrebbe essere l’attività di credito alla produzione e ai consumi di beni durevoli. Si trovano in condizioni di particolare favore, in quanto operano in una situazione di oligopolio di fatto.

Non hanno bisogno di nuovi finanziamenti, in quanto quelli già effettuati a tasso variabile consentono di aumentare i ricavi derivanti dalla intermediazione finanziaria senza i rischi. Tra l’altro, molti impieghi delle banche son garantiti dallo Stato a mezzo delle fideiussioni rilasciate dal Mediocredito Centrale. Il paradosso della tassazione degli “extraprofitti” per le banche è che per esse sarà una tantum; il costo per il cliente delle aziende di credito diventerà “una semper”!

Aggiornato il 10 agosto 2023 alle ore 11:06