Nuove tensioni economiche tra Occidente e Cina

In Cina gli investimenti da parte di aziende straniere, in particolare occidentali, stanno calando vertiginosamente. Safe, agenzia governativa con sede a Pechino, nel primo trimestre del 2023 ha registrato 20 miliardi di dollari confluiti da imprese con la sede principale fuori dal Paese: un quinto rispetto allo stesso periodo del 2022. Anno in cui, a sua volta, si era verificata una riduzione del 45 per cento dal 2021.

Questa tendenza riguarda un dato economico, ma si inserisce in un contesto politico più ampio che dipende anche dalle relazioni che il Governo cinese intende intrattenere con il resto del mondo. Se la produzione e i consumi in Cina sono stati a lungo strettamente interconnessi con il resto dell’economia globale, durante la pandemia e la conseguente frenata della produzione dei suoi partner commerciali il Governo di Pechino ha aumentato la sua già elevata consapevolezza sui rischi che comportano la dipendenza dagli scambi con l’estero e la frammentazione delle catene produttive. Allo stesso tempo, la contrazione economica verificatasi a livello globale durante la diffusione del Covid-19 (nel 2020 la Cina è stato l’unico grande Stato in cui è aumentato il Pil) ha creato per il Governo il contesto ideale per ridefinire la bilancia commerciale a favore della domanda interna.

Un’ulteriore spiegazione del deflusso di liquidità estera registrato in Cina si riferisce alle nuove politiche anti-spionaggio varate dal presidente Xi Jinping. Negli ultimi anni, il Governo ha approvato numerose norme ufficialmente motivate da questioni di sicurezza nazionale. Le regole più recenti, in particolare, estendono le situazioni in cui si configurano reati riconducibili alla raccolta e all’utilizzo di informazioni sensibili. In tali attività non rientrano più solamente il furto di documenti in possesso dei servizi segreti cinesi o la violazione di segreti di Stato, ma nel definire le nuove casistiche si adotta una formulazione più vaga che, potenzialmente, può includere anche la stesura di normali documenti aziendali, quali ricerche di mercato e studi sulle aziende concorrenti.

Inoltre, si aumentano gli strumenti a disposizione delle autorità governative per indagare sui soggetti sospettati di spionaggio. Se è vero che le nuove regole sono entrate in vigore soltanto a luglio, se ne discute da tempo e sono coerenti a una tendenza che negli ultimi anni ha generato timori da parte degli operatori occidentali. Quindi, le conseguenze in termini di preoccupazioni delle imprese occidentali possono essersi verificate già nei mesi precedenti.

La questione dello spionaggio si collega, inoltre, alle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, che potrebbero inasprirsi ulteriormente in caso di vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi del 2024. Oggetto della contesa è anche il dominio tecnologico. Nell’ultimo triennio, infatti, il Governo cinese ha investito ingenti somme per la realizzazione di un settore domestico dei microchip in grado di rivaleggiare con quello americano e con gli altri Paesi asiatici, avendo così l’ambizione di divenire autosufficiente a livello tecnologico. Nel marzo del 2023, da Pechino si sono esternate preoccupazioni sulla cybersicurezza riguardanti Micron, azienda con sede negli Stati Uniti attiva nel settore dei microchip, che si sono concretizzate nell’abbandono dei suoi prodotti da parte delle maggiori infrastrutture informatiche cinesi.

Per la Cina, rinunciare agli investimenti dell’Occidente non significa solamente privarsi di capitali, ma anche di idee, competenze manageriali e posti di lavoro, avvalorando le tesi di chi sostiene che tale a scelta corrisponda un progetto politico più ampio e di lungo termine, che prescinde dalle conseguenze negative immediate.

È troppo presto per verificare se il Paese del Dragone disponga di tecnologie e capitale interni – monetario ma anche umano – sufficienti a mantenere la competitività a livello globale e a raggiungere la piena autonomia tecnologica. Negli ultimi mesi, intanto, i prezzi al consumo cinesi sono diminuiti, in controtendenza rispetto al resto del mondo. Questo dato implica una contrazione dei costi delle importazioni dalla Cina, che potrebbe contribuire al contenimento dell’inflazione in Europa e negli Usa.

D’altra parte, le maggiori incertezze che incontrano le imprese occidentali che svolgono parte delle loro attività in territorio cinese possono comportare un aumento dei costi di produzione, quindi dei prezzi. È difficile prevedere quale delle due tendenze si rivelerà prevalente sull’altra, e quale effetto complessivo si verificherà sul potere d’acquisto in Occidente. Molto dipenderà da come Europa e Stati Uniti riusciranno a gestire i loro rapporti con il Governo cinese.

Un calo della presenza economica occidentale in Cina rischia, inoltre, di causare un rallentamento dell’economia mondiale.

Aggiornato il 07 agosto 2023 alle ore 11:33