Shareholders o Stakeholders, questo è il dilemma

Tutto iniziò nella prima metà del XX secolo, nello specifico durante gli anni Cinquanta, con la nascita dell’acceso dibattito tra istituzionalisti e contrattualisti su tematiche societarie di matrice ideologica, influenzate dalle tendenze sociopolitiche dell’epoca, che di conseguenza avevano generato delle radicali riforme normative. La fonte originaria della dottrina istituzionalista risale alla dottrina tedesca dell’Unternehmen an sich di W. Rathenau, la quale sosteneva la superiorità dell’interesse sociale rispetto a quello dei soci. L’interesse sociale era considerato coincidente con lo scopo societario della stessa impresa, ritenuta una vera e propria istituzione sociale e per questo essa, secondo quanto letteralmente riteneva la suddetta dottrina, “non può essere in dissonanza con le finalità perseguite dallo Stato sul piano economico e sociale”. Pertanto, la dottrina istituzionalista definisce l’interesse sociale come una declinazione di tutte quelle istanze di pubblico interesse funzionali al benessere della collettività, prima fra tutte l’incremento dei posti di lavoro, che a sua volta genera tanto l’aumento della ricchezza del prodotto interno lordo quanto l’aumento del progresso sociale della nazione.

La suddetta dottrina risultò alquanto velleitaria nella sua applicazione pratica a causa della mancanza di norme specifiche che declinassero in modo fattivo la tutela giudiziaria e la funzione partecipativa all’interno della società per i soggetti interessati che non fossero degli azionisti. Questo vuoto normativo e l’assoluta indifferenza da parte del legislatore determinarono l’inconsistenza della dottrina istituzionalista, il cui pensiero rimase genericamente astratto se non semplicemente retorico e privo di qualsiasi attuazione pratica. Da questi presupposti storici e grazie al contributo normativo dato dalla codificazione civilistica del 1942 si è arrivati alla supremazia della dottrina contrattualistica. Invero, proprio dalle previsioni dell’articolo 2247 Codice civile (contratto di società), dell’articolo 2373 Codice civile (conflitto di interessi) e dell’articolo 2377 Codice civile (annullabilità delle deliberazioni) si evince quanto l’interesse individuale del socio fosse superiore e funzionale all’organizzazione della società, sancendone la rilevanza giuridica, con l’affermazione normativa che “il voto viene concesso al socio nel suo interesse individuale” e quindi con un’assoluta indifferenza per l’interesse sociale di matrice istituzionale. Nel prosieguo storico-societario, il medesimo energico dibattito tra istituzionalisti e contrattualisti è stato trasposto nell’altrettanto acceso conflitto dottrinale tra la teoria stakeholder e quella del shareholder. Infatti, nei primi anni del duemila si è sementato il principio che definisce la società come un’unione di singoli interessi individuali, che per quanto possano confliggere tra loro per ragioni egoistiche si ritrovano sempre uniti e concordi nel comune obiettivo di raggiungere la distribuzione degli utili, con una gestione societaria basata sul voto maggioritario dei soci.

Quindi, con la radicalizzazione del cosiddetto shareholder value, ossia quella teoria che considera la massimizzazione del valore attuale delle azioni che costituiscono il pacchetto azionario come l’obiettivo prioritario per ottenere l’interesse sociale e con la graduale e progressiva supremazia dell’alta finanza si è passati dallo scopo della mera distribuzione degli utili alla massimizzazione del profitto o del valore di mercato delle azioni, determinato dall’incremento della presenza di piccoli investitori al dettaglio (retail) e forgiando in tal modo un nuovo operatore del mercato azionario definito investitore professionale. L’investitore professionale divenendo comproprietario della società porge la sua attenzione verso tutti i flussi di cassa derivanti dalla sua partecipazione azionaria, soprattutto verso quei movimenti determinati dal valore reale delle sue azioni, che al momento della loro vendita da parte del medesimo e quindi della sua uscita dallo status di socio, rappresenta l’indice di monetizzabilità del suo patrimonio azionario.

In seguito, la letteratura economico-finanziaria, principalmente la cosiddetta Corporate Social Responsibility, in nuce “Csr”, ha acquisito una particolare sensibilità sociale, tanto da considerare anche e soprattutto la tutela degli interessi alieni a quelli dei soci e quindi socialmente utili. Il legislatore, nello specifico quello europeo, a confronto con quanto accadde con la precedente teoria istituzionalista ha manifestato una maggiore attenzione nei confronti di questa nuova tendenza istituzionalista (definita stakeholder). Tant’è che con la Direttiva Ue 828/2017 (The Shareholder Rights Directive II (Srd II) ha sancito un nuovo regolamento inerente ai diritti degli azionisti, stabilendo da un lato che debba esserci “un maggior coinvolgimento di tutti i portatori di interessi, in particolare dei dipendenti” e dall’altro che la categoria specifica degli investitori professionali debbano impegnarsi nel lungo periodo per la società azionaria di appartenenza, attribuendo loro determinati poteri di voice e quindi di controllo.

Al dunque, la nuova normativa europea, non facendo una distinzione tra gli investitori passivi (ossia coloro che non si basano su una speculazione finanziaria di breve termine e quindi parassitaria per la stessa società azionaria) e gli investitori professionali attivi, come gli hedge fund (ossia i cosiddetti short-termisti che speculano nel breve termine per ottimizzare in modo esponenziale il profitto, indifferenti del futuro societario), ha minato le sue finalità. Al postutto, dalla succitata esplicazione emerge il pericolo che la nuova direttiva sugli azionisti, invece di includere progressivamente il coinvolgimento degli stakeholders nella partecipazione societaria, possa favorire il potere e l’incremento degli investitori professionali short-termisti, i quali utilizzando quei poteri di voice ( ideati per favorire invece gli stakeholders) potrebbero perseguire obiettivi assolutamente antitetici a quelli prefissati dalla Direttiva in oggetto a vantaggio degli stakeholders.

Et posteris judicas

Aggiornato il 03 agosto 2023 alle ore 09:53