La Scuola di Chicago: un libro e un corso online

Premiata dal 1976 a oggi con ben tredici Premi Nobel, la Scuola di Chicago è forse la più famosa e certamente la più discussa tra le scuole di economia del Novecento. Uno degli errori più comuni che si commettono parlando di Chicago è spiegarne sia il successo che le criticità in termini solo ideologici, spesso ricorrendo al vuoto slogan del “neoliberismo”. Per questo ho accolto volentieri l’invito dell’Istituto Bruno Leoni a contribuire alla collana Classici Contemporanei con un volume dedicato non a un singolo autore, ma appunto a un’intera scuola di pensiero. Scuola o scuole, perché, come spiego, i protagonisti di Chicago hanno mostrato, lungo un arco che va dagli anni Trenta agli anni Novanta del secolo scorso, indubbi tratti comuni, ma anche elementi distintivi a volte molto marcati. 

Nel testo, scritto per un pubblico di non specialisti, si incontrano dunque economisti famosi come Milton Friedman, George Stigler, Gary Becker e Robert Lucas, a fianco di personaggi apparentemente minori, ma in realtà fondamentali per i successi della Scuola, come Henry Simons o Aaron Director, e di studiosi non totalmente incastonabili entro i confini di Chicago, come Ronald Coase e Richard Posner. Rinviando al volume per le differenze tra i diversi autori e periodi, la Scuola di Chicago poggia in sintesi su quattro pilastri. Il primo, di tipo analitico e presente sin dagli esordi negli anni Venti, è la cosiddetta teoria dei prezzi, cioè la microeconomia dei mercati: domanda, offerta ed equilibrio. Il secondo pilastro è di tipo metodologico: a partire dal contributo di Friedman, la Scuola si caratterizza per un’estrema attenzione al dato empirico e alle applicazioni concrete

I due pilastri assieme aprono la via a un amplissimo ventaglio di applicazioni. Dopo aver “invaso” ambiti confinanti, quali la Common Law, la storia economica e l’antitrust, da Becker in poi l’approccio di Chicago si è ulteriormente allargato, abbracciando tutta una serie di comportamenti non di mercato, quali la discriminazione razziale, le decisioni familiari o le scelte educative. Di qui l’accusa di “imperialismo” sollevata dai critici della Scuola. Il terzo pilastro è, naturalmente, quello monetario. Il volume ripercorre come la tradizione di Chicago in materia sia stata rielaborata da Friedman in chiave anche, ma non solo, anti-keynesiana, sfociando in un’innovativa spiegazione della Grande Crisi, nel monetarismo, nel rigetto delle politiche di stabilizzazione e, successivamente, nella Nuova macroeconomia classica di Lucas. Infine, l’ultimo, ma non per questo meno rilevante, pilastro: l’insegnamento e la divulgazione. Qui è, a mio avviso, il vero segreto di Chicago: la grande importanza assegnata alla didattica, sempre tenuta a livelli di assoluto, quasi implacabile, rigore, e una straordinaria capacità di comunicare le idee economiche anche al grande pubblico. Una lezione preziosa che fa di questa scuola un modello sempre attuale per chiunque abbia a cuore la libertà individuale e il libero mercato.

(*) Professore ordinario di Economia politica all’Università di Pisa e autore del libro La Scuola di Chicago

Aggiornato il 27 giugno 2023 alle ore 12:08