Il Mes e il convitato di pietra: il perché di un no

Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes, European Stability Mechanism) è stato istituito mediante un trattato intergovernativo, al di fuori del quadro giuridico dell’Ue nel 2012. L’avvio era previsto per il 2013, poi la turbolenza finanziaria ha portato al battesimo un anno prima. La sua funzione è concedere, sotto precise condizioni, assistenza finanziaria ai Paesi membri che – pur avendo un debito pubblico sostenibile – trovino temporanea difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Il Mes è guidato da un Consiglio dei governatori composto da 19 ministri delle Finanze dell’area euro. Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 708,8 miliardi, di cui 80,5 sono stati versati. La sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi, versandone oltre 14. Il Mes attenua i rischi di contagio connessi con eventuali crisi verificatesi in passato come è accaduto malamente alla Grecia, con la crisi avviata dalla finanza speculativa nell’aprile del 2010. La crisi greca ha determinato un attacco speculativo all’area euro da parte degli hedge fund, come avevano scritto nel febbraio dello stesso anno Wall Street Journal e Repubblica.

L’attacco della finanza funzionale a destabilizzare l’euro aveva preso di mira i Paesi collaterali al centro dell’euro. Così, dopo la Grecia sono stati attaccati il Portogallo, l’Irlanda e in agosto la Spagna. Si preparava, nel settembre del 2011, l’attacco colposo all’Italia. La finanza è di fatto il convitato di pietra, una figura incombente e muta, ma determinante nel definire la storia. Nei conti dei vari Paesi è priva di fondamento scientifico, ma gioca con la pelle dei Paesi oggetto di attacco e dimostra il rischio che, per quanto un Paese cerchi di migliorare i suoi equilibri finanziari, questi sono perennemente minacciati dalla garrota finanziaria, anche quando non ci sono gli estremi economici e finanziari. L’esempio della Grecia è stato devastante perché le risorse del Mes girate ad Atene, invece di andare a sollevare la crisi delle pensioni, sono state girate alle banche francesi e tedesche che avevano speculato sui remunerativi bond greci.

Allo stesso modo, l’attacco per indebolire l’Italia nel settembre del 2011, è stato da manuale per la rapina finanziaria, usando colpevolmente il rating e lo spread per fare collassare il Paese che non stava andando male. Con un debito di 1.830 miliardi di euro e un Pil in lieve crescita, l’attacco della finanza al Paese è stato devastante con uno spread innalzato di 600 punti e il declassamento operato da Standard & Poor’s a BBB-. Il sistema è andato in tilt, però curiosamente solo tre mesi dopo, con un debito di 2.200 miliardi di euro e un Pil decrescente lo spread è crollato contro ogni logica razionale, ma solo funzionale a un disegno geopolitico esterno al Paese. Il debito ha continuato a crescere, il Pil a diminuire e lo spread ha continuato la sua discesa. “I mercati sono razionali e non sbagliano mai nell’allocazione delle risorse”. Era il Robert Lucas, economista premio Nobel nel 1995, che lo affermava. Infatti…

Queste sono state le disgraziate e colpevoli premesse che ci fanno guardare con giustificato dubbio al nuovo ridisegno del Mes. Come funzionerà? Sarà sempre soggetto all’attacco della finanza che annulla tutti gli sforzi per portare in equilibrio i conti del Paese che cerca di salvare la sua posizione di debito? Questo sarebbe possibile solo al netto dell’interferenza finanziaria che andrebbe bloccata o quanto meno disarmata. Ora, di fronte alla turbolenza della finanza, le condizioni della proposta di riforma del Mes sono state le seguenti:

1) non essere in procedura d’infrazione;

2) vantare un deficit-Pil inferiore al 3 per cento da almeno due anni (noi siamo all’8 per cento, il più alto valore dell’area euro);

3) avere un rapporto debito-Pil sotto il 60 per cento (noi siamo al 140 per cento).

Curiosamente sono le stesse condizioni poste nel 2000 per entrare nella sperimentazione dell’area euro aggirate sia dall’Italia che dalla Grecia. L’Italia giocando sul deficit bloccò tutte le uscite di cassa dal giugno, mentre la Grecia cartolarizzò tutte le entrate degli aeroporti e dei porti per avere cassa subito. Cassa che sarebbe mancata in seguito, mandando la Grecia in default. Il Covid ha peggiorato la dinamica e gli equilibri economici e finanziari accentuando lo stato di debolezza del nostro Paese. Il rischio che l’intervento del Mes possa giustificare draconiane riforme strutturali del Paese spaventa non poco, data la scarsa affidabilità dei Paesi membri più pronti a speculare che ad aiutare. Ricordiamo che nel settembre nero dell’Italia, la banca che speculò maggiormente sui nostri titoli fu la Deutsche Bank, che in quell’anno fece la migliore performance degli ultimi dieci anni. È chiaro che la scarsa fiducia nei cosiddetti partner europei è risibile: l’Unione europea assomiglia sempre più ai polli di Renzo. O la finanza viene temperata e controllata avviando anche un’agenzia europea di rating per temperare le false posizioni delle tre star americane che governano il rating e condannano i Paesi riottosi o qualsiasi sforzo di riequilibrio economico può essere dissipato dalla finanza usata come arma non convenzionale di guerra. A questo proposito, giova ricordare i diversi trattamenti usati contro le agenzie di rating: Standard & Poor’s, che aveva declassato gli Stati Uniti, nell’agosto del 2012 è stata condannata dal Dipartimento di Giustizia Usa per manipolazione fraudolente del rating, mentre noi, per lo stesso motivo, l’abbiamo assolta nel processo di Trani. Come sempre due pesi e due misure. Allo stesso modo, furono condannate le più importanti banche di Wall Street per la fraudolenta manipolazione dei Subprime, le cui società finanziarie omaggiate della tripla AAA, hanno fatto collassare il mondo. Come ci si può fidare di una così manifesta manipolazione dei fatti?

Infine, oggi Moody’s ha sospeso il downgrading all’Italia, pur avendo il nostro Paese una situazione non peggiore di quella degli Stati Uniti, che hanno un debito sul Pil del 135 per cento. Un debito sotto rischio di default di 35mila miliardi di dollari (in realtà, contabilmente sono 31.400 miliardi, grazie al fatto che Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti d’America, ha bloccato tutti i pagamenti, avendo in cassa solo 120 miliardi di dollari), che cresce più rapidamente del Pil fermo a 21mila miliardi di dollari, ma mantengono un rating che è la tripla AAA. Anche se il Congresso americano approvasse un più alto livello di debito, sarebbe solo funzionale a rinviare il problema, perché troppo sbilanciate sono le spese rispetto alle entrate, in una dinamica che non può essere corretta nel breve termine, senza violenti scontri sociali. Sarebbe un segnale, ma non in grado di arrestare il processo di dedollarizzazione in atto. Un agenzia di rating europea, per pareggiare i conti, dovrebbe assegnare agli Usa una tripla BBB e forse si comincerebbe un confronto un po’ meno svantaggioso, tenuto conto che il modello statunitense è basato sul mercato, mentre quello europeo sul Welfare: due logiche asimmetriche.

Il Mes può essere visto come aggiustamento degli equilibri finanziari ed economici, ma dovrebbe essere valutato al netto della garrota finanziaria. Non sono pochi i dubbi sulla lealtà condivisa, ma prima proviamo a difenderci e prima forse saremo rispettati. Questa è la parte più difficile, perché da troppo tempo ci siamo sottomessi senza mai reagire, facendo anche il danno degli Usa, perché avremmo potuto condividere un approccio sbagliato e correggerlo. Ora serve a poco che Jack Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale, faccia un’autoaccusa degli errori commessi come la finanziarizzazione dell’economia reale che ha fatto delocalizzare tutta la manifattura in Paesi che ora sembrano essere ostili, bruciando milioni di posti lavoro. La denuncia che lui fa, in un discorso al Think tank Brookings Institution dell’uso illimitato e non regolato della finanza lasciata libera di creare la maggiore disuguaglianza nella storia dell’uomo, serve a sottolineare gli errori colpevoli di una finanza di cui non ci si può più fidare e che va rimessa in gabbia.

Ora siamo a raccattare quello che abbiamo seminato e quello che ci hanno scaraventato addosso con i problemi di riduzione del debito. Abbiamo un sistema di controllo contabile che fa acqua da tutte le parti, ma se non abbiamo sotto controllo la spesa, diventa difficile attaccarla e questo è un problema che sta portando allo scontro il Governo e la Corte dei conti. Ma è del tutto evidente che non possiamo risolvere il problema con lo stesso modello culturale che l’ha creato. Qui servono riforme serie e non di facciata. È necessario italianizzare il debito, come ha fatto il Giappone, portando la maggiore parte del debito in mani italiane e sottraendolo all’incontrollabile speculazione finanziaria da cui dovremmo difenderci con l’aiuto di un’Europa che sembra la gabbia dei polli di Renzo. Ma senza una vera azione di controllo della finanza siamo destinaci a scontrarci con il caos.

Infine, possiamo proporre una soluzione innovativa basata sulla possibilità di rendere appetibili i nostri Buoni del tesoro pluriennali, legando alcune emissioni particolari a una percentuale di oro definita. Potrebbe essere una quota del 20 per cento di buoni legati parzialmente all’oro. Noi siamo tra i Paesi a maggiore deposito di oro, ma metà è nelle riserve interne e metà è depositato all’estero negli Usa presso la Fed. Si potrebbero emettere così Buoni del tesoro vincolati al 20 per cento all’oro depositato presso la Fed come maggiore garanzia di solvibilità, rispetto a quella in discussione del nostro Paese. I buoni del tesoro legati all’oro presso la Fed potrebbero godere di un rating simile alla tripla AAA ed essere collocati facilmente sul mercato finanziario e certamente più collocabili anche sul mercato interno.

Sono proposte, ma se non si scelgono vie alternative, rimaniamo sudditi sottomessi a una finanza di rapina, che ci punisce indebitamente come possiamo vedere dal rating attribuitoci, prossimo alla tripla BBB, pur avendo una struttura economica e finanziaria delle famiglie italiane di gran lunga migliore di quella degli Usa. Negli Stati Uniti, il debito familiare è al 100 per cento del Pil, come è al 7 per cento del Pil il debito degli studenti. Ma come si spiega che gli Usa alle prese con un debito- monstre abbiano la tripla AAA e l’Italia sia valutata all’opposto? Se proviamo a rispondere a questa domanda forse qualche via di uscita dal caos imperante riusciamo a vederla.

(*) Professore emerito dell’Università Luigi Bocconi

Aggiornato il 26 giugno 2023 alle ore 10:28