Banca d’Italia: da Luigi Einaudi a Ignazio Visco

La Banca d’Italia, da tempio del sapere e delle competenze economico-finanziarie, è diventata un costosissimo centro-studi. La perdita della funzione di istituto di emissione della moneta e di Banca centrale creditrice di ultima istanza ne ha fortemente ridimensionato le funzioni. Oggi svolge il ruolo di vigilanza solo nei confronti delle banche (piccole) che non sono considerate sistemiche. La vigilanza sui grandi istituti di credito è di competenza della Banca centrale europea.

Ho letto le “considerazioni finali del governatore” pubblicate sul sito dell’ex Banca centrale. Il centotrentanovesimo rapporto, di quella che fu una gloriosa istituzione, mi è sembrato uno stanco rito al quale deve ottemperare il governatore, ormai giunto a fine mandato e che non lascerà tracce indelebili del suo operato.

Per chi ha studiato il ruolo fondamentale svolto dalla Banca d’Italia, dal 1926 fino alla fondazione della Bce, è un vero dolore constatare il sovrastimato ruolo dell’attuale ex Banca centrale. Il sistema bancario italiano è il risultato di un lungo e travagliato processo di cambiamento. Per comprendere l’attuale sistema creditizio, occorre fare un breve excursus storico.

Dall’Unità d’Italia fino al 1926 le banche operavano in un sistema liberistico. Molte erano di piccole dimensioni, in alcuni casi erano costituite anche nella forma di ditta individuale e prendevano il nome del loro fondatore. Per le ridottissime dimensioni erano esposte a rischi che, spesso, culminavano in fallimenti. Clamoroso fu il dissesto della Banca italiana di Sconto (1921).

La serie di fallimenti bancari indusse i risparmiatori a tesorizzare i propri risparmi (conservare i loro denari dentro il materasso) per non rischiare di perderli, in quanto avevano smarrito ogni fiducia nei confronti delle aziende di credito. Il risparmio tesorizzato non apporta alcun beneficio all’economia. Se, invece, è ben gestito dalle banche abilitate alla raccolta, diventa uno strumento di sviluppo. In sostanza, le banche dovrebbero trasformare il risparmio, elemento statico dell’economia, in investimenti che sono fattore di sviluppo, attraverso i finanziamenti alla produzione e al consumo.

Le banche e la Borsa valori, nelle economie di mercato, dovrebbero essere il fulcro dello sviluppo economico. La politica del tempo, consapevole dell’importanza della fiducia dei risparmiatori verso il sistema del credito, nel 1926 emanò un Regio decreto legge, che aveva l’obiettivo di ripristinare la fiducia dei risparmiatori nei confronti delle banche, e un primo atto tendente a disciplinare il sistema creditizio. Nel 1926 diventa unico istituto di emissione della moneta legale (la lira) la Banca d’Italia. Di conseguenza, viene precluso al Banco di Sicilia e al Banco di Napoli di stampare moneta.

Venne introdotta la garanzia indiretta da parte dello Stato nei confronti dei risparmiatori. In caso di fallimento delle banche, lo Stato avrebbe rimborsato integralmente i depositi dei risparmiatori. Il Regio decreto del 1926 ebbe uno straordinario successo, grazie alla garanzia pubblica. Gli italiani ritornarono a depositare in banca i propri capitali. Nel 1929 crolla la Borsa valori di New York, causando la “depressione economica” negli Usa e una grave crisi economica, sia in Europa che in Italia, coinvolgendo tre tra le più importanti banche private del nostro Paese: il Banco di Roma, il Credito italiano e la Banca commerciale italiana.

Per evitare il fallimento delle tre Bin (Banche d’interesse nazionale) il Governo nazionalizzò gli istituti di credito ed evitò, così, di indennizzare i risparmiatori che godevano della garanzia pubblica. Il 12 marzo del 1936 (Regio decreto legge numero 375) nacque il Testo unico della legge bancaria, che rimase in vigore, senza significative variazioni, fino al 31 dicembre 1993 (nuovo Testo unico).

Nel Dopoguerra, la Banca d’Italia ebbe un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico del Paese. Ha avuto governatori, allora nominati a vita, del calibro di Luigi Einaudi, Donato Menichella, Guido Carli, Paolo Baffi, Carlo Azeglio Ciampi e, ultimo tra coloro che godevano della nomina a vita, Antonio Fazio. Insomma, grandi economisti e vere e proprie riserve della Repubblica.

Il governatore uscente della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nominato dopo la riforma che aboliva la nomina a vita – il suo mandato si concluderà nel novembre del 2023 – nella relazione annuale pubblicata sul sito della Banca d’Italia ha redatto un’analisi infarcita di tante ovvietà e qualche considerazione politica, che si poteva risparmiare. Non ci sono più i governatori della Banca d’Italia di una volta!

Aggiornato il 05 giugno 2023 alle ore 11:27