Una riforma fiscale per le Pmi: semplice, agile, costruttiva

La Costituzione prevede che si paghino le tasse in base alla capacità contributiva di ognuno. Fatto sta che, oltre a versare all’erario l’importo dovuto, da un certo punto in poi, al contribuente è stato affibbiato anche il compito di calcolarlo. Onere incostituzionale questo, ma tollerato solo per la mitezza e l’ignoranza dei contribuenti, peraltro, condizionati dai media pronti a puntare il dito accusatore contro ogni sentore di evasione. Rimane il fatto che la incredibile complessità e artificiosità delle norme fiscali, oltre a rendere la tenuta della contabilità spesso più costosa della tassa stessa, è anche causa di facili errori nella difficile operazione di calcolo. Questi errori, immancabilmente, seconda una prassi giustizialista, sono interpretati come voluti: da qui nasce il sospetto del dolo e della tentata evasione. Una volta etichettato così, purtroppo, il contribuente diventa un controllato speciale e perseguitato con ossessivi accertamenti. Tutto ciò significa ulteriore spreco di risorse in termini di tempo e di danaro.

Questa costosa burocrazia amministrativa, se rischiosa per le Piccole e medie imprese, diviene insostenibile e pericolosa per le imprese nascenti. Affidare ai dipendenti dei ministeri (che sono “percettori di tasse”) il compito di una ristrutturazione intelligente delle norme e procedure fiscali perché siano più agevoli, meno costose e meno “giustizialiste”, appare del tutto improponibile. Questo sistema fiscale penalizza pesantemente la competitività delle Pmi e favorisce, (quando si consideri che esse costituiscono il prevalente, se non unico, sistema produttivo delle aree più deboli del Paese, come il Sud Italia e i territori interni del Centro e del Nord), l’inesorabile spopolamento e la desertificazione dei territori più poveri e privi di servizi a favore di territori più ricchi e ben serviti. È quello che sta accadendo.

Inoltre, nell’incredibile quotidiana crociata antievasione, le grandi imprese, la Sinistra e pezzi della Destra utilizzano ogni mezzo per persuadere l’opinione pubblica di una loro personale verità, impossibile da dimostrare concretamente: cioè che il debito pubblico e il deficit dipendano dalla evasione delle Pmi (idraulici, meccanici, manutentori et similia che non rilasciano la ricevuta) e non, piuttosto, dall’irrefrenabile esosità fiscale e dalla inefficienza della Pubblica amministrazione.  Da quanto detto, si può estrarre una semplice tesi: una legislazione fiscale, unica per tutti, grandi e piccole imprese, e che non distingua le differenti economie territoriali, non è equilibrata, non è giusta, aggrava le disuguaglianze fra chi è ricco e chi ricco non è.

Da qui nascono i presupposti, qui descritti, per progettare un disegno di legge:

1) La Riforma fiscale per le Pmi non può più imporre che, oltre all’elevato livello della fiscalità, si debbano sopportare ancora più elevati costi e rischi amministrativi.

2) La Riforma fiscale per le Pmi deve prevedere differenti regimi fra chi beneficia maggiormente dei servizi pubblici e chi non ne fruisce affatto.

3) La Riforma fiscale per le Startup deve prevedere regimi agevolati.

 Il nuovo articolato sistema fiscale va pensato in ossequio a quanto previsto dalla lettera e dalla ratio della Costituzione che appare volutamente travisata da certi cultori delle tasse. Ecco la nostra proposta per le Pmi, agevole, leggera, semplice. A parità di gettito fiscale, si propone un patto tra amministrazione fiscale e contribuente che preveda, per più anni, la possibilità di optare per il pagamento di una imposta forfetaria unica, “All inclusive”, da versare all’inizio dell’esercizio fiscale. Si permette così all’erario di incassare quanto ritiene giusto e al piccolo o nuovo imprenditore di dedicarsi pienamente al suo lavoro. Ciò riduce, contemporaneamente, il costo del fisco per il contribuente/impresa (abbattendo spese, rischi amministrativi, sperpero di tempo) e il costo del fisco per la Pubblica amministrazione (eliminando controlli, controversie, impegno di personale); oltre a restituire equilibrio alla economia reale. Peraltro, esempi di regimi fiscali analoghi ce ne sono. Si può citare, ad esempio, coloro che operano nel privilegiato mondo della finanza e bancario, i quali percepiscono interessi sui titoli di stato o l’armatore tassato forfettariamente sul tonnellaggio delle proprie navi. Questi contribuenti pagano senza dover redigere complicate dichiarazioni e senza rischio di accertamento alcuno. Perché escludere, dunque, le Pmi e il negoziante sotto casa?

Le norme sempre più inintelligibili e la crescita incontrollata della onnipotenza della macchina fiscale hanno prodotto un rapporto malato tra cittadini a fisco fino all’asservimento del contribuente lasciato di fatto in balia della iniqua giurisdizione fiscale. Questa differenza abissale di forza ha relegato il cittadino contribuente alla condizione di suddito privo di effettivi diritti di difesa. Ciò è contrario ad ogni visione democratica e stride apertamente con la nostra civiltà. La proposta, che possiamo chiamare “Concordato preventivo” oppure “Regime fiscale sostitutivo”, è importante perché azzera la protervia del fisco, la sua arroganza, la sua farraginosità, la sua inefficienza, la sua contrapposizione ostile con il contribuente, per lasciare la libertà ai piccoli e nuovi imprenditori di trasformarsi da disoccupati assistiti a consapevoli pagatori di tasse. Un fisco amico non deve essere un miraggio, come non può essere un miraggio aspirare ad una società economica armoniosa e collaborativa. Le Pmi del Sud e delle aree deboli del Centro e del Nord, nel ritenere di interpretare e portare nella epoca attuale il pensiero greco-latino, ben compendiato nella cristianità, non vedono altro modo possibile di convivere civilmente senza continuare con inutili guerre civili fiscali.

 (*) Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile

Aggiornato il 06 aprile 2023 alle ore 12:48