Alcuni giorni orsono, nel corso di Omnibus, in onda la mattina su La7, il leghista Massimo Garavaglia ha ribadito con una certa energia l’esigenza di una drastica riduzione delle imposte, impropriamente definite tasse. Riproponendo un antico pallino del Carroccio, l’ex ministro del Turismo, ha perorato la causa della chimerica Flat tax, la quale raccoglie da tempo l’adesione di Giancarlo Giorgetti, attuale super ministro dell’Economia. L’idea, che come ha ricordato in studio l’economista Veronica De Romanis, non sembra aver mai funzionato laddove sia stata applicata, sarebbe quella di allargare la base imponibile. In estrema sintesi, “pagare meno per pagare tutti”, ribaltando l’antico slogan dalemiano del “pagare tutti per pagare meno”. D’altro canto, come ha poi aggiunto la stessa De Romanis, in assenza di ricette magiche stile mago Merlino, c’è solo una strada praticabile per ridurre in modo strutturale le imposte: tagliare in modo altrettanto strutturale la spesa pubblica, soprattutto quella corrente.
E, hai voglia a dire, come la Lega sostiene da tempo, che in Europa ci sono importanti Stati nazionali che hanno adottato la cosiddetta tassa piatta – la Russia (13 per cento), l’Estonia (20 per cento), la Romania (10 per cento), la Bosnia-Erzegovina (10 per cento), la Bielorussia (13 per cento), la Bulgaria (10 per cento), l’Ucraina (18 per cento) e l’Ungheria (15 per cento) –. Il piccolo problema è che in tali Paesi il Welfare costa mediamente oltre 10 punti di Pil meno che in Italia, dove lo stesso Welfare assorbe quasi metà dell’intera, colossale spesa pubblica. Tuttavia, contrariamente a una riduzione generalizzata delle imposte, solo l’annuncio di un minimo taglio settoriale della spesa pubblica provoca un immediato attacco di orticaria ai nostri politici di tutti i colori, da decenni usi a seguire l’andamento quotidiano dei sondaggi e, conseguentemente, suscettibili di crisi di nervi di fronte alla perdita di qualche decimale.
Stando così le cose, in attesa di trovare uno statista vero che abbia il coraggio di avanzare una prospettiva di vere riforme nei tempi medio-lunghi, trascurando gli inevitabili rischi legati a momentanee fasi di impopolarità, dovremmo continuare a sorbirci uno sterile dibattito sulla chimera di una riduzione della pressione tributaria che, sulla base del nostro gigantesco indebitamento e di una spesa pubblica che nessuno osa toccare, non porterà mai da nessuna parte. Questi sono i tempi e questi sono gli uomini.
Aggiornato il 20 marzo 2023 alle ore 13:15