Tre bombe sociali: Termini Imerese, Priolo e Taranto

Da molti mesi vado ripetendo che nel Paese ci sono tre bombe sociali che pesano in modo determinante sulla crescita dell’intero Paese; tre bombe sociali che sono relative tre aree industriali del Mezzogiorno: Termini Imerese, Priolo e Taranto. Più volte ho ricordato le responsabilità dell’organo centrale e del sindacato, più volte ho denunciato i comportamenti poco incisivi e poco convinti sia del presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che dell’ex presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci, senza però vedere alcun cambiamento di una linea comportamentale davvero incomprensibile. Una linea comportamentale che, nel caso della Regione Sicilia, governata oggi da Renato Schifani, è rimasta completamente inesistente. Questo mio convincimento per la Regione Sicilia trova una ampia motivazione proprio sui due comportamenti della stessa Regione per il caso Termini Imerese e per il caso Priolo.

Cominciamo con il caso Termini Imerese e prendiamo come primo riferimento un comunicato stampa in cui si precisa che “fra pochi giorni è prevista a Roma la riunione del tavolo congiunto a cui parteciperanno tutte le parti interessate e si parlerà di Accordo di programma”; l’assessore regionale alle Attività produttive Edmondo Tamajo ha anche ribadito che: “Noi confermiamo lo stanziamento di 70 milioni e lavoreremo affinché il ministero inserisca le risorse necessarie per la reindustrializzazione della intera area, inoltre abbiamo attivato l’Inps per verificare le condizioni per accompagnare i lavoratori che hanno i requisiti al prepensionamento”. In alcuni comunicati vengono anche esplicitati quali siano le reali richieste che la Regione dovrebbe sollevare per la ennesima volta:

1) La quota promessa dallo Stato pari a 25 milioni per il supporto iniziale alla riattivazione dell’area industriale, una quota ritenuta da sempre insufficiente.

2) I prepensionamenti e le uscite incentivate di circa 600 ex operai della ex Fiat (lo stabilimento fu chiuso definitivamente il 31 dicembre del 2011, oltre dodici anni fa) ancora in Casa integrazione.

Fin qui una triste, ma vera immagine kafkiana della realtà “Termini Imerese”. Tuttavia essendo ormai abituati, ripeto da oltre dodici anni, a leggere simili “comunicati stampa” avremmo solo letto sorridendo e avremmo solo catalogato una simile informazione tra quelle tipiche della Regione Sicilia abituata a credere solo nel “futuro”, cioè a credere nella possibilità che solo il “futuro” sia in grado di risolvere determinate criticità; quasi un atteggiamento coerente alla logica gattopardesca. Invece questa volta si è andati oltre ogni immaginazione infatti, sempre l’assessore Tamajo, ha ribadito: “Dobbiamo correre perché pochi giorni fa il Polo meccatronica ha illustrato i dati principali del business plan del gruppo ucraino Alumeta interessato allo stabilimento ex Fiat di Termini Imerese”. Se leggiamo alcuni dati della proposta scopriamo che sono previsti 41 milioni di euro per l’investimento iniziale di cui 27 milioni di capitali propri e 14 di finanziamento bancario.

Con tale quadro finanziario è prevista la realizzazione di una fabbrica di profilati e componenti di alluminio con una capacità di 1.200 tonnellate al mese e nei primi 24 mesi è prevista l’assunzione di 250 lavoratori. A Palermo il ceo di Alumeta aveva anche fatto presente che: “Cercavamo un sito in Europa già prima dello scoppio della guerra, il mercato è in continua espansione e dobbiamo aumentare la capacità produttiva. Sicuramente il nostro stabilimento in Ucraina sarà impegnato nella produzione per la ricostruzione finita la guerra”. Non dico nulla ma sembra quasi chiaro che, come le oltre otto ipotesi di riattivazione delle attività produttive a Termini, pur in presenza di questi annunci e di questi impegni assisteremo, ancora una volta, a conclusioni completamente lontane da quelle dichiarazioni ottimistiche della Regione e forse l’unico vero dramma sarà trovare norme e risorse per garantire la Cassa integrazione.

Sempre in Sicilia, l’altra bomba, quella di Priolo, preoccupa molto di più soprattutto per la presenza di 12mila posti di lavoro e preoccupa perché si scopre una vera leggerezza gestionale nell’intera operazione di vendita prima a operatori americani e poi al gruppo cipriota Goi Energy. Tutto sembrava quasi concluso, addirittura il ministro Adolfo Urso aveva incontrato l’amministratore della società cipriota e in tale occasione il ministro aveva anche chiesto delle rassicurazioni sul mantenimento occupazionale. Lo stesso amministratore cipriota aveva anche incontrato il presidente della Regione Sicilia Renato Schifani. Ora però si scopre che la società cipriota ha rapporti diretti o indiretti con la Russia e gli americani temono che la vicinanza dell’impianto di Priolo al nodo strategico di Sigonella possa essere, a tutti gli effetti, una soluzione altamente rischiosa per la sicurezza. Quindi, anche in questo caso, emerge, in modo chiaro, la leggerezza degli approcci con cui la Regione Sicilia affronta tematiche che rendono irrisolvibili determinate emergenze. Molti diranno che in fondo sono responsabilità dell’organo centrale e senza dubbio è vero ma quello che sconcerta è la leggerezza con cui l’organo locale e quindi la giunta di Schifani creda a soluzioni forse poco strutturate, forse supportate solo da ciò che io definisco l’ottimismo della speranza e non della ragione.

La terza bomba è Taranto, senza dubbio la più gande e la più pericolosa. Siamo in presenza di circa 12mila dipendenti diretti e più del doppio di indiretti, siamo in presenza cioè di circa 25mila persone che vivono direttamente o indirettamente una delle più grandi tragedie occupazionali del Paese, una delle più evidenti e misurabili crisi socioeconomiche. Una crisi che trova senza dubbio nella incapacità dei Governi Conte I e II tutte le motivazioni e che ultimamente il Governo, assicurando una somma di 680 milioni, immagina di aver risolto. Più volte abbiamo ricordato che l’azionista Arcelor Mittal non ha nessuna intenzione di investire ulteriori risorse, più volte abbiamo ricordato che l’obiettivo di Arcelor Mittal era solo quello di ridimensionare la forza dell’impianto di Taranto in modo da limitarle la concorrenza e questo lo si evince leggendo i successi e la crescita degli altri impianti, sempre di Arcelor Mittal, nel mondo. I 680 milioni di euro sono nulla rispetto a una esigenza reale per un tentativo di ripresa dell’impianto di oltre 3 miliardi di euro.

Ho voluto solo ricordare, come tra l’altro ho fatto sistematicamente da almeno tre anni, questi tre casi e l’ho fatto perché sono davvero colpito dal comportamento dei due Governatori Schifani ed Emiliano. Mi sarei, quanto meno, aspettato di leggere e di trovare un cambiamento sostanziale dei relativi comportamenti:

Schifani avrebbe dovuto evitare incontri, avrebbe dovuto evitare di fornire assicurazioni della sua Giunta su una prossima soluzione sia del caso Termini che del caso Priolo. Ho descritto gli eventi che hanno caratterizzato i due casi senza fornire un parere perché penso che la sola descrizione degli eventi testimoni un sicuro fallimento delle iniziative. Emiliano avrebbe dovuto far presente al Governo che la crisi di Taranto di locale non ha nulla, che la fine di un impianto siderurgico, per errori non solo dei gestori ma di chi doveva garantire adeguate risorse e assicurare simili trasferimenti in tempi certi, produce un danno irreversibile, ripeto, per la Regione e per l’intero Mezzogiorno.

Purtroppo ha vinto la superficialità, purtroppo ha vinto la assenza di una coscienza di Stato, purtroppo ha vinto, come dicevo prima, la speranza nel “futuro”. Ho ricordato però ultimamente che, siccome la legislatura durerà cinque anni con la stessa maggioranza, non credo che il Governo possa consentire più comportamenti così discutibili e, a mio avviso, inaccettabili.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 16 marzo 2023 alle ore 15:17