Come si sta evolvendo il mercato del lavoro

Durante il semestre tra giugno e dicembre 2022, nel Regno Unito si è tenuto il più grande esperimento al mondo per testare la settimana lavorativa di quattro giorni, anziché cinque, mantenendo invariati gli stipendi. Durante la sperimentazione, il numero di ore settimanali lavorate da ogni dipendente è passato da 40 a 32. Circa tremila lavoratori di 61 aziende britanniche hanno preso parte a questo progetto pilota promosso dall’organizzazione non profit 4 Day Week Global in collaborazione con il think tank Autonomy e i ricercatori delle Università di Cambridge, di Oxford e del Boston College. L’obiettivo era misurare l’impatto di una riduzione delle ore lavorate sulla produttività delle aziende e sul benessere dei loro dipendenti. I risultati sono stati sorprendenti: su 61 aziende coinvolte, 56 hanno deciso di proseguire sulla stessa strada, 18 delle quali hanno comunicato di volere adottare la settimana lavorativa di quattro giorni in maniera definitiva. Nel semestre in esame, le imprese che hanno aderito all’esperimento hanno registrato un miglioramento nello stile di vita dei propri dipendenti (il 39 per cento dei lavoratori ha notato una riduzione dello stress) parallelo all’aumento dei ricavi, mentre le dimissioni sono diminuite del 57 per cento rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente. Dall’altra parte, alcuni lavoratori hanno manifestato preoccupazioni relative alla necessità di concentrare la mole di lavoro e le proprie energie in un periodo più breve.

Sembrerebbe, quindi, che tagliare le ore di lavoro per ciascun dipendente a parità di stipendio migliori sia la sua qualità della vita che la produttività, quindi il fatturato, dell’azienda in cui lavora. Ma la realtà è più complessa. Le aziende che hanno preso parte a questa prova, infatti, operano in mercati diversi, ma sono quasi tutte di dimensioni medie e piccole, rendendo il campione non sufficientemente eterogeneo da potere generalizzare i risultati ottenuti. Inoltre, molte delle aziende che hanno aderito alla ricerca erano già intenzionate a ridurre la settimana lavorativa e la sperimentazione è stata preceduta da due mesi di formazione su come riorganizzare il lavoro senza perdere competitività. Non si tratta, quindi, semplicemente di ridurre l’orario di lavoro ma di mettere mano sull’intera organizzazione aziendale. Tuttavia, questo esperimento ha fatto emergere la possibilità concreta per le imprese di riorganizzarsi e rendere il lavoro più flessibile, diventando al tempo stesso più produttive. La pandemia da Covid-19 ha aiutato la diffusione di modalità di lavoro alternative a quelle tradizionali, come il cosiddetto smart working, ed è cresciuta l’importanza delle condizioni di lavoro che le aziende offrono. Questa variabile è, in alcuni casi, persino più importante del salario offerto.

Nel 2021 negli Stati Uniti è nato un fenomeno, successivamente diffusosi anche in Europa, definito “great resignation”, che consiste nelle dimissioni in massa di dipendenti, soprattutto giovani, motivate dalla ricerca di condizioni lavorative migliori non solamente sotto il punto di vista retributivo. In Italia, Intesa Sanpaolo ha già proposto una settimana di quattro giorni da nove ore, a parità di retribuzione e anche la milanese Magister Group passerà da 40 a 32 ore settimanali nelle sue società Ali e Repas, mentre mille dipendenti di Lavazza potranno contare su venerdì brevi tra maggio e settembre e 10 giorni al mese di lavoro a distanza, grazie a un accordo tra la società e le organizzazioni sindacali che avrà efficacia nel triennio 2023-2025. Una pubblicazione dell’Osservatorio sui Conti pubblici italiani di questo febbraio ha evidenziato come nel periodo post-Covid in Italia siano aumentati i posti di lavoro vacanti, ma anche le difficoltà a coprirli con nuove assunzioni.

Pesano l’inflazione e le tensioni geopolitiche, che stanno portando molte imprese a rivedere al ribasso i loro programmi di assunzioni, ma c’è anche una difficoltà in alcuni settori a trovare figure adeguatamente qualificate. Quest’ultimo fattore è strettamente legato al fenomeno della fuga di cervelli; su sei milioni di italiani che lavorano all’estero, infatti, uno su tre appartiene alla categoria dei “lavoratori qualificati”. In sintesi, sebbene non sia possibile trarre conclusioni certe e generali dall’esperimento della settimana lavorativa corta, anche in Italia è importante riflettere sulla riorganizzazione del lavoro. Questo consentirebbe alle imprese di offrire condizioni di lavoro più attrattive non solamente in termini economici, ma anche di flessibilità, al fine di fidelizzare i propri talenti e attrarne di nuovi senza dover sostenere costi ingenti, con benefici sulla competitività e sull’intero sistema produttivo.

Aggiornato il 24 febbraio 2023 alle ore 11:07