Basta dare un’occhiata ai bilioni di dollari (o di euro, fate voi) che la transizione green smuove, per capire quanto sia difficile dichiararla il più grande imbroglio della storia dell’umanità. La quotazione di un credito di carbonio per una tonnellata di Co2 ha già toccato i 100 euro (per avere un’idea: una tonnellata di Co2 equivale, pressappoco, alle emissioni di un’auto media per una percorrenza di 10mila chilometri), quasi decuplicando i prezzi pre-pandemia.
L’Europa nel suo insieme è responsabile di una frazione delle emissioni della vituperata Co2, con circa il 6 per cento del totale globale. Dal lato opposto, la Cina – nonostante essa sia la responsabile della più alta quota delle emissioni, indiziate (senza prove inequivocabili) di climalterazione – è uno dei Paesi che genera più carbon credit al mondo.
L’Italia, dal canto suo, compare solo al 20esimo posto tra gli “inquinatori” carbonici, sorpassata da quasi tutti i partner europei. Però, a Bruxelles, veniamo considerati tra i meno sensibili al verbo ambientalista della neutralità carbonica. Ma, se è così, abbiamo molte ragioni, visto che le draconiane misure di contenimento della Co2 (avversate da poco meno della metà del Parlamento europeo) rischiano di trasformare il Vecchio Continente nella zona pedonale del pianeta.
I carbon credit sono, sostanzialmente, la monetizzazione delle iniziative di sequestro dell’anidride carbonica: per esempio, la piantumazione di una cinquantina di alberi compensa una tonnellata di Co2, corrispondente a un credito negoziabile, a prezzi odierni, di circa 100 euro. I proprietari di terreni riforestabili possono vendere questi crediti alle imprese, che hanno bisogno di compensare le proprie emissioni carboniche. Una prateria si aprirà a nuovi imbrogli, da far impallidire i truffatori dei Bitcoin, degli schemi piramidali e del mondo opaco dei derivati, tanto da finire sulle cronache giudiziarie di questi anni.
Il business dei crediti di carbonio è talmente appetitoso che anche i potenti della new economy stanno facendo incetta di terreni. Come Bill Gates, che è diventato il più grande possidente terriero negli Usa. Quel Bill Gates che rintuzzava le critiche sull’enorme personale “impronta carbonica” a lui attribuita – tra il principesco matrimonio della figlia e le centinaia di spostamenti in, poco ecologici, jet privati – sostenendo che lui, per altro verso, compensava largamente con i carbon credit generati dai suoi progetti ecologici. Insomma, come diceva Totò, nel celebre film “Totò, Peppino e… la malafemmina”: “C’è chi può, e io può”.
Questa prospettiva prefigura un futuro, nemmeno tanto lontano, nel quale chi potrà pagare con la moneta green sarà libero di muoversi, nutrirsi, vestirsi e spendere in qualsiasi anti-ecologico capriccio, a proprio gusto e piacimento. Tutti gli altri a piedi, vestiti di tela di sacco, a mangiare grilli. Che però – gli eco-responsabili ci assicurano – sono altamente proteici. E a questo il principe Antonio De Curtis avrebbe saputo come rispondere, senza spreco di vocaboli.
Aggiornato il 23 febbraio 2023 alle ore 10:53