Verso un provvedimento ponte

Non possiamo dimenticare una serie di dichiarazioni prodotte da alcuni ministri del passato Governo sulla avanzata attuazione, per alcuni addirittura completa attuazione, dei vari provvedimenti previsti dal Pnrr; in particolare degli obiettivi da raggiungere entro e non oltre il 31 dicembre del 2026. Né possiamo dimenticare le famose precisazioni che ribadivano che l’Unione europea non ci chiedeva, in questa fase iniziale, l’apertura dei cantieri, non ci chiedeva la conclusione delle gare, non ci chiedeva la attivazione della spesa attraverso una concreta produzione di Stati avanzamento lavori (Sal), ma ci chiedeva essenzialmente l’avvio e, per alcuni casi, la attuazione delle riforme. La attuazione delle riforme, infatti, era la condizione necessaria per far scattare i vari anticipi; ritengo opportuno precisare però che queste dichiarazioni, questi convincimenti erano più di alcuni ministri e mai dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi che, tutti lo ricorderanno, nel mese di aprile del 2022 convocò di urgenza un Consiglio dei ministri e precisò, in modo molto acceso e preoccupato, che nell’avanzamento del Pnrr non si poteva e non si doveva sottovalutare la concreta attivazione della spesa e, non possiamo dimenticare che subito dopo tale Consiglio dei ministri, il sottosegretario Roberto Garofoli dette vita ad un controllo sistematico, attraverso riunioni anche settimanali con i vari Dicasteri, riunione tutte mirate a verificare quali erano gli ostacoli incontrati e come fosse possibile superarli. Oggi scopriamo però che sul Pnrr italiano incombe il caro – prezzi che genera il proliferare di gare vuote e di cantieri fermi e che le sanzioni della Commissione europea per inadempienza dei vincoli programmatici da questo anno 2023 saranno molto più salate. Leggiamo addirittura che da Palazzo Chigi è partito ufficialmente un richiamo all’ordine ai ministeri perché “mettano a terra” il Pnrr precisando che questo anno le multe dell’Unione europea saranno il 20 per cento più onerose. Per questo il ministro Raffaele Fitto ha fatto presente a tutti gli attori del Pnrr (ministeri ed enti locali) che. “Sul Pnrr non sono ammessi errori o ritardi e la road map è serratissima e non preoccupano solo i 27 obiettivi da centrare entro la fine del mese di giugno quanto un primo e capillare check-up previsto per la fine di marzo.

Leggendo questi passaggi e queste pesanti preoccupazioni ci convinciamo che va dato atto all’attuale Governo di non aver assolutamente scelto una linea comportamentale caratterizzata da un attacco alle responsabilità del precedente Governo; penso che non lo abbia fatto perché non ha potuto mettere in dubbio il lavoro del presidente Draghi nel rivedere integralmente la impresentabile proposta di Pnrr presentata dal Governo Conte 2 e penso non lo abbia fatto perché non ha potuto dubitare del ruolo chiave ed essenziale, sempre di Draghi, nell’assicurare, in sede comunitaria l’affidabilità del nostro Paese nel rispettare i vari passaggi imposti dalla Unione europea nella attuazione del Pnrr. Preso atto, quindi, di un modo nuovo e corretto di ciò che penso debba essere ciò che potremmo definire “la continuità funzionale dei governi e delle istituzioni”, non credo si possa sottovalutare una emergenza che, purtroppo, è stata causata da una misurabile incapacità di chi ha sottovalutato la rilevanza ed il ruolo della “attivazione della spesa”. Una emergenza ed una criticità che con una sistematicità quasi settimanale abbiamo denunciato. Purtroppo ora ci troviamo di fronte a fattori esogeni che ci preoccupano quali in particolare:

1) Il ritorno della inflazione.

2) L’aumento dei prezzi e soprattutto la quasi certezza di un fenomeno in continua crescita.

3) Il rischio di una diffusa non partecipazione alle gare da parte del mondo imprenditoriale.

4) Il richiamato aumento del costo delle infrazioni comunitarie.

5) Il numero sempre minore di anni rimasti prima della scadenza perentoria del 31 dicembre 2026.

Ma non possiamo non tener conto che abbiamo anche sottovalutato negli anni 2015, 2016, 2017, 2018, 2019, 2020, 2021, 2022, sì in otto anni, la possibilità di utilizzo delle risorse sia del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020 e, adesso, anche quelle del Fondo 2021-2027. Questo è davvero inconcepibile perché, come più volte denunciato, una delle motivazioni non è stata solo la incapacità della spesa da parte sia dei dicasteri (attraverso la gestione dei Piani operativi nazionali) che degli enti locali (attraverso la gestione dei Piani operativi regionali) ma anche la mancata copertura del 50 per cento della quota del fondo da parte dello Stato italiano, cioè invece di garantire la storica percentuale destinata al Mezzogiorno pari almeno al 30 per cento degli investimenti globali, abbiamo disatteso anche l’impegno nel garantire la copertura del Fondo di sviluppo e coesione; un Fondo che per l’85 per cento era ed è destinato ad interventi nel Mezzogiorno. Forse in questo caso l’attuale Governo avrebbe potuto e forse dovuto quanto meno elencare le carenze e le responsabilità di quel gruppo di ex ministri come quelli delle Infrastrutture e dei Trasporti o del Mezzogiorno che si sono succeduti dal 2015 al 2022 ma, anche in questo caso l’attuale Governo ha preferito dare una corretta immagine carica di rara responsabilità istituzionale. Adesso però bisognerà, come più volte ricordato in questi primi mesi di Legislatura, cambiare registro e forse produrre un “provvedimento ponte per l’attivazione della spesa concreta e organica nel comparto delle infrastrutture”, Un provvedimento ponte che possa essere diverso, insisto diverso, da tutto ciò che finora si è solo tentato di “fare” senza “fare”.

(*) Tratto da Le Stanze di Ercole

Aggiornato il 09 febbraio 2023 alle ore 09:45