Tre indicatori di una catastrofe imminente

La notizia è che una recessione globale è alle porte. La definizione standard di recessione è di due o più trimestri consecutivi di calo del Pil e aumento di disoccupazione. Una precisazione però: tale definizione non rende giustizia alla crisi incombente poiché il Pil è una misura della spesa, non una misura della creazione di ricchezza. È possibile, ad esempio, che il Pil cresca rapidamente durante un periodo in cui la ricchezza viene distrutta su larga scala. Ciò che tipicamente avviene durante una guerra o erogando sussidi o pagando eserciti di statali. La spesa pubblica consuma le risorse della società anziché aumentarle e andrebbe dedotta dal calcolo del prodotto lordo per renderlo attendibile.

Emergerebbe allora che è da una vita che il mondo è in recessione e che ora si sta trasformando in qualcosa di molto peggio: un periodo di grave declino con una marcata tendenza al collasso completo. Del resto, dopo il Covid-19, l’interruzione delle filiere industriali, l’effetto moltiplicatore dell’aumento dei prezzi dell’energia, il sovraindebitamento dei governi, la fine della globalizzazione e i rischi di una terza guerra mondiale, cosa potremmo aspettarci di diverso?

Le recessioni globali sono eventi rari. Non è insolito che un paese o una regione cada in recessione, ma una recessione globale sincronizzata è insolita. E stiamo per affrontarla. Tecnicamente è stata anticipata prima di tutto dall’inversione della curva dei rendimenti, la linea che traccia la relazione tra i tassi di interesse su obbligazioni con scadenze diverse. Normalmente la curva è ascendente: infatti man mano che le scadenze si allungano, i rendimenti aumentano in quanto devono remunerare un rischio maggiore. Ora, di recente, si è verificata un’inversione della curva dei rendimenti più importante esistente: quella delle obbligazioni sovrane statunitensi dove i titoli con scadenze più lunghe offrono rendimenti inferiori.

Ad esempio, il rendimento dei Treasury a dieci anni si aggira su 3,5pc, quello a due anni era del 4,4pc. Il rendimento a tre mesi è addirittura, del 4,3 pc. Per quale strano motivo i titoli a lungo termine che comportano un rischio maggiore hanno un rendimento minore dei titoli a breve termine con rischio minore? La risposta sta nelle aspettative: se il mercato prevede una nuova crisi cioè meno crescita, meno investimenti, più disoccupazione e, quindi, bassi tassi di interesse, piuttosto che puntare su alti rendimenti, si orienta a preservare il capitale precipitandosi a acquistare obbligazioni a lungo termine prima che aumentino di prezzo. È questa corsa alla sicurezza che fa invertire la curva spingendo il rendimento delle obbligazioni a lunga scadenza al di sotto di quelle a breve.

L’inversione della curva, storicamente e in modo affidabile, preannuncia sempre una crisi imminente. Ad esempio, nel 2006 lo spread si è invertito per gran parte dell’anno e la Grande Recessione è iniziata nel 2007. Nel 2019, lo spread decennale/biennale è diventato negativo e l’economia ha subito una recessione nel 2020 durante l’inizio del Covid-19, nonostante la pandemia non fosse una considerazione da incorporare nei prezzi delle obbligazioni sei mesi prima. Conferma l’arrivo della crisi anche la curva dei rendimenti obbligazionari tedeschi che da trent’anni registra l’inversione più profonda con i bund a due anni che rendono il 2pc e quelli a dieci anni 1,8pc, segnale preoccupante per la maggiore economia europea in quanto i rendimenti delle obbligazioni tedesche sono il punto di riferimento per il blocco valutario.

I mercati vedono sempre giusto e attraverso questo indicatore ci preannunciano il calo dei tassi di interessi a lungo termine e quindi deflazione, in netta controtendenza rispetto alle politiche monetarie che continuano ad alzarli come se dovessero domare un’inflazione da eccesso di domanda, quando, oggi, tutti i problemi sono dalla parte dell’offerta. Le banche centrali saranno dunque costrette a ribassare i tassi perché la crisi sta bussando alla porta. Quando Stati Uniti e Europa hanno deciso di chiudere la loro economie per due anni, si sono imbarcati nel più grande errore della loro storia politica. Le economie non si possono mettere in pausa come si fa con Netflix senza fare gravi danni strutturali. Il danno è arrivato sotto forma di scarsità causando aumenti di prezzi in quasi tutti i mercati, carenza di manodopera e riduzione di investimenti. Quello delle banche centrali di confondere aumenti di prezzi da scarsità con aumenti di prezzi da inflazione monetaria è stato un errore madornale che sta inasprendo l’attuale crisi da costi.

Infine c’è un segnale ancora più potente della curva dei rendimenti obbligazionari che segnala non una nuova recessione ma una catastrofe economica e finanziaria. È l’inversione dei rendimenti nel più grande mercato del prestito, quello dell’eurodollaro, il mercato dei dollari presso banche estere o presso filiali estere di banche americane, il più lungimirante di tutti. Tale inversione ha cominciato a verificarsi addirittura dal 2020. Ovviamente, ciò non significa che il mercato dell’eurodollaro abbia predetto la crisi pandemica, ma ha anticipato sin dal principio il manifestarsi di forze deflazionistiche invece che inflazionistiche. Qualcuno può pensare che la prossima discesa dei tassi renda più accessibile il mercato del credito. Avverrà il contrario. Il mercato finanziario, infatti, prendendo a prestito a breve e prestando a lungo, con tassi in discesa, non avrà convenienza a espandere il credito. Pertanto la prossima recessione, in ambiente di massimo rischio, si tradurrà in una grave crisi di liquidità e insolvenze globali. Siamo proprio alle porte di un crollo al cui confronto la Grande recessione del 2008 sarà ricordata come una passeggiata.

Aggiornato il 02 dicembre 2022 alle ore 09:44