Petrolio e pragmatismo anti-dirigista

La decisione di non importare petrolio russo in Italia – dal 5 dicembre – come embargo in risposta all’invasione da parte della Federazione Russa dell’Ucraina, ha gettato nello sconforto i circa diecimila lavoratori dello stabilimento Lukoil di Priolo, in Sicilia, che hanno rischiato di fermare la propria produzione di carburanti con successivi licenziamenti di massa. Il Cdm – notizia di ieri – ha approvato il decreto per il salvataggio della raffineria siciliana. Un ok che ha ottenuto l’unanimità e che ha previsto una “Amministrazione temporanea” per lo stabilimento. Tutto ciò garantirà una continuità operativa, dopo che lunedì scatteranno – appunto – le sanzioni sul petrolio russo. In programma pure la nomina di un commissario ministeriale, che potrà essere incaricato per 12 mesi, prorogabili per altri 12.

Il tasso di disoccupazione in Italia è del 7,90 per cento, superiore a quello della Germania (5,60 per cento), poco superiore a quello della Francia (7,30 per cento) e molto di più di quello del Regno Unito (3,60 per cento). È una fotografia approssimata e non definitiva della nostra situazione lavorativa, che rispetto ai precedenti trimestri sembra lievemente migliorare, ma che potrebbe entrare di nuovo in una spirale negativa con l’aumento dei disoccupati a causa, certamente, delle contingenze del momento sul mercato globale, ma anche per le scelte politiche che il Governo si appresta a varare con la nuova legge finanziaria.

La programmazione economica messa in campo dal Governo tiene conto della fattuale situazione nazionale e internazionale, dei vincoli di bilancio sottoscritti con l’Unione europea, della possibilità di fare deficit senza disastrare il pubblico erario e delle scarse risorse liquide che si possono mobilitare. Certo, per qualcuno poco coraggiosa e priva di visione, per altri molto concreta. Fortunatamente, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, alle “visioni” mistiche e utopistiche alla Fantozzi invocate da una variopinta sinistra, ha preferito la nuda e cruda realtà. Grazie alla riforma della Costituzione sul pareggio di bilancio votato dal centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e il Fiscal Compact (il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria), che fu ratificato dal Parlamento durante la sedicesima legislatura, nel 2012, mentre era in carica il Governo Monti, si è evitato che si facessero manovre visionarie “azzardate” che avrebbero pregiudicato la tenuta di cassa di casa Italia, soprattutto negli anni successivi tinteggiati di giallo e rosso.

Adesso, la responsabilità di allora è tornata utile per quella di oggi. Detto questo, per il caso della Lukoil adotterei lo stesso criterio: pragmatismo responsabile e anti-dirigista. Purtroppo, la situazione in Ucraina non accenna a migliorare e quindi dobbiamo tenere conto di quello che comporta per le nostre finanze il sostegno a Kiev, anche nella questione della raffineria siciliana. Infatti, cosa succederebbe se lo stabilimento dovesse fermarsi definitivamente o a tempo indeterminato? Potremmo avere alcuni effetti negativi: prima per una diminuzione di prodotto finito, si registrerebbe un aumento del prezzo dei carburanti, attualmente calmierato dallo Stato (ma fino a quando e con che risorse?). Quindi un ulteriore aumento dei prezzi al consumo (l’inflazione oggi è all’11,80 per cento) e infine un aumento delle uscite per i maggiori servizi di sostegno ai lavoratori: la cassa integrazione per gli operai e i sussidi per i disoccupati. Sarebbe un disastro per la nostra economia, a cui comunque i mercati e le strutture internazionali stanno dando credito.

Ma allora, sostengono variamente tutti i sindacati, perché non nazionalizzare, cioè statalizzare, l’impianto e lasciarlo operare con il controllo pubblico? Questa sembra la strada che il Governo starebbe valutando di percorrere, attraverso l’amministrazione fiduciaria della raffineria, configurando una norma per inserire Priolo fra le infrastrutture critiche di rilevanza strategica nazionale con la motivazione di garantire la continuità degli approvvigionamenti energetici. Sostanzialmente, allargando la già ampia fascia di attività produttive poste sotto il suo controllo dello Stato. Diventerebbe così un’altra Alitalia, da pagare e ripianare con le tasse dei contribuenti.

Questa sicuramente è la via più semplice, ma anche quella più rischiosa e meno economicamente sostenibile, e che peraltro apre la via per l’applicazione delle stesse procedure per future crisi aziendali che già sono dietro l’angolo. Pragmatismo vorrebbe che, invece, si derogasse alla data del 5 dicembre 2022, lasciando la gestione (compresi gli approvvigionamenti di greggio) e i costi, dello stabilimento di almeno 6 mesi all’attuale proprietà, che peraltro non è colpita dalle sanzioni. Potrebbe essere il tempo necessario affinché arrivi una soluzione di mercato per l’impianto o la naturale, speriamo, fine del conflitto armato.

Qualcuno sosterrà che la Lukoil è russa e che si finanzierebbe così l’aggressore: a parte che tutta l’Europa lo fa dall’inizio del conflitto attraverso le forniture di gas provenienti da Gazprom, ma ci dimentichiamo che proprio il presidente di questo gigante del petrolio, Ravil Maganov, il primo di settembre 2022 è volato giù dalla finestra della stanza di un ospedale in cui era ricoverato sembra per un infarto, e che questa società aveva emanato un comunicato coraggioso, visto i tempi che corrono, per chiedere la fine dell’aggressione all’Ucraina. Se proprio noi serriamo le porte anche a chi manifesta insofferenza per certe crudeli “avventatezze” di Mosca, allora vuol dire che ci stiamo pregiudicando la possibilità di un qualsiasi passo non violento in direzione della pace, come la pressione delle grandi aziende industriali tipo la Lukoil, che hanno interesse a mantenere un rapporto commerciale con l’Occidente.

Le conseguenze? Dopo la pandemia sanitaria, e quella energetica, ci dovremo presto preparare a quella dirigista para-socialista. E come scrisse Ludwig von Mises ne I fallimenti dello Stato interventista (edizione italiana di Rubbettino, con prefazione di Lorenzo Infantino), “attraverso misure restrittive, l’autorità vieta la produzione di certi beni, oppure vieta l’adozione di certi metodi di produzione, o, attraverso tali metodi, rende la produzione più difficile e più costosa. Così facendo, l’autorità elimina alcuni dei mezzi disponibili per il soddisfacimento dei bisogni umani. L’effetto degli interventi è che gli uomini finiscono per trovarsi in una posizione nella quale possono utilizzare in un modo meno efficiente la loro conoscenza e la loro capacità, i loro sforzi e le loro risorse materiali. Tali misure rendono le persone più povere”.

Aggiornato il 03 dicembre 2022 alle ore 12:01