Inflazione record dal 1983

L’Istat ritocca al ribasso anche le prime stime sui prezzi del proverbiale carrello della spesa di ottobre, che restano comunque su livelli record mai registrati dal 1983. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, segnala un aumento del 3,4 per cento su base mensile e dell’11,8 per cento su base annua (da +8,9 per cento del mese precedente). La stima preliminare era +11,9 per cento su base annua e +3,5 per cento su base mensile. L’inflazione acquisita per l’anno 2022 è a +8 per cento per l’indice generale e a +3,7 per cento per la componente di fondo.

Nel dettaglio, l’Istituto nazionale di statistica – rimanendo a ottobre – parla di un aumento per beni alimentari, per la cura della casa e della persona da +10,9 per cento a +12,6 per cento e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto da +8,4 per cento a +8,9 per cento. Da qui la considerazione: “È necessario risalire a giugno 1983 (quando registrarono una variazione tendenziale del +13 per cento) per trovare una crescita su base annua dei prezzi del carrello della spesa superiore a quella di ottobre 2022”.

Non sono mancati i commenti da parte delle associazioni di categoria. Per Coldiretti crescono i prezzi al dettaglio dei prodotti alimentari “con aumenti record del 25,1 per cento in un anno per le verdure, mentre la frutta cresce del 6,5 per cento, ma è crisi profonda nei campi dove bisogna vendere 4 chili di mele per comperare un caffè”. La denuncia è chiara: “Con l’inflazione record cresce la forbice dei prezzi tra produzione al consumo con aumenti da 3 o 5 volte dal campo alla tavola e gli italiani che sono costretti a tagliare gli acquisti, mentre le aziende agricole non riescono neanche a coprire i costi. Per effetto delle difficoltà economiche e del caro prezzi nel carrello della spesa – prosegue – gli italiani hanno tagliato gli acquisti di frutta e verdura che crollano nel 2022 del 9 per cento in quantità rispetto allo scorso anno, ai minimi da inizio secolo”. Inoltre, è evidenziato che “più di una azienda agricola su 10 (13 per cento) è in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma ben circa un terzo del totale nazionale (34 per cento) si trova comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo, secondo il Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria)”.

Non solo. “I bilanci delle aziende sono messi a rischio da rincari di ogni tipo – incalza Coldiretti – dal riscaldamento delle serre ai carburanti per la movimentazione dei macchinari, dai fitofarmaci ai fertilizzanti, con spese più che raddoppiate, fino agli imballaggi, con gli incrementi che colpiscono dalla plastica per le vaschette, le retine e le buste (+70 per cento), alla carta per bollini ed etichette (+35 per cento) fino al cartone ondulato per le cassette (+60 per cento), stesso trend di rincari per le cassette in legno (+60 per cento)”.

Anche il Codacons interviene sui dati forniti dall’Istat. E per voce del presidente, Carlo Rienzi, spiega: “L’inflazione all’11,8 per cento è una reale minaccia per la salute del nostro Paese e determina una stangata record per gli italiani, considerata la totalità dei consumi di una famiglia “tipo”, pari a +3.625 euro annui. Solo per gli alimentari (+13,5 per cento a ottobre) un nucleo si ritrova a spendere in media +752 euro su base annua e, come dimostrano i dati sulle vendite, i cittadini stanno reagendo tagliando la spesa per il cibo. Una situazione che ora fa scattare l’allarme sui consumi di Natale – nota – perché gli italiani, di fronte a una inflazione record, saranno costretti a tirare la cinghia anche sugli acquisti legati alle prossime festività. Un danno enorme per il commercio e l’economia nazionale, che il nuovo Governo deve assolutamente evitare, disponendo subito il taglio dell’Iva su alimentari e generi di prima necessità”.

Il Codacons, in più, puntualizza “come a livello territoriale la crescita dei prezzi sia fortemente diversificata, con effetti differenti sulle tasche delle famiglie: la maglia nera dell’inflazione spetta ad ottobre alla Sicilia, con i listini al dettaglio che crescono in media del 14,4 per cento su base annua, determinando una stangata, considerati i consumi di una famiglia residente nell’isola, pari a +3.487 euro a nucleo. Di contro, la Valle d’Aosta registra la performance migliore, con il tasso che sale “solo” dell’8,8 per cento e un aggravio pari in media a 2.962 euro a nucleo su base annua, anche in presenza di una spesa per consumi sensibilmente più alta rispetto alla Sicilia”.

Anche Confesercenti dice la sua: “La lieve revisione al ribasso di Istat dell’indice dei prezzi, purtroppo, non cambia il quadro di questa fase, condizionato da un livello di inflazione che già ha iniziato a pesare e continuerà a pesare sugli acquisti delle famiglie, in particolare a Natale”. E poi: “Per ridare fiato ai consumi, semplifichiamo e riduciamo le procedure burocratiche dell’attuale regime dei fringe benefit, che ne rendono difficile l’utilizzo e la fruibilità da parte delle imprese, in particolare quelle di minori dimensioni. Dobbiamo trasformarli in una tredicesima bis, un trasferimento aggiuntivo nei confronti dei dipendenti – anche diretto in busta paga – cui sia applicata la stessa detassazione oggi prevista per i fringe benefit. Si tratterebbe di un intervento una tantum di tutela mirato alle famiglie presumibilmente più in difficoltà in questa fase, ma anche di una misura che favorisce la tenuta delle attività e lo sviluppo economico, visto che la liquidità in più si trasformerebbe praticamente tutta in consumi. Una misura di questo tipo, infatti genererebbe fino a circa 1.500 euro aggiuntivi per 5 milioni di lavoratori – conclude – per un totale di quasi 7,5 miliardi di maggior reddito disponibile, che andrebbe in gran parte in spesa (+5,6 miliardi di euro). L’onere netto sarebbe di circa un miliardo per l’erario, a fronte di 2,1 miliardi di imposte e contributi mancanti e degli 1,1 miliardi recuperati grazie alla spinta ai consumi. Un intervento del genere potrebbe anche essere recepito da accordi di natura sindacale”.

BCE: VERSO RECESSIONE, PIÙ RISCHI STABILITÀ FINANZIARIA

In questo quadro, i rischi per la stabilità finanziaria nell’area euro “sono aumentati” fra shock energetico, l’alta inflazione e la bassa crescita e con condizioni finanziarie che si vanno inasprendo. Lo evidenzia la Banca centrale europea nel Rapporto sulla stabilità finanziaria di novembre. Luis de Guindos, vicepresidente della Bce, illustra che “è aumentata la probabilità di una recessione tecnica nell’area euro”.

La Bce, in concreto, ammette che “se le prospettive peggiorano ulteriormente, un aumento della frequenza di default aziendali non può più essere escluso, specie per le imprese energivore”. Così i governi sono invitati ad assicurare “che gli aiuti ai settori vulnerabili siano mirati, e non interferiscano con la normalizzazione della politica monetaria”.

Aggiornato il 16 novembre 2022 alle ore 16:31