La crisi del sistema bancario e le alternative al finanziamento delle Pmi

La crisi finanziaria globale del 2008 ha richiesto all’intero sistema finanziario e alle autorità di vigilanza una corposa revisione, nonché l’aggiornamento dell’imponente e complesso corpus di leggi finanziarie sovranazionali. Obiettivo primario era quello di ristabilire fiducia nel sistema finanziario al fine di salvaguardare gli investitori che avevano maturato una crescente diffidenza nei confronti sia del sistema finanziario e bancario. La chiave della stabilità risiede, ancora oggi, nella forte e inevitabile correlazione tra il sistema finanziario e il sistema economico. All’interno di questa relazione è ascrivibile al sistema bancario la principale causa della trasformazione della crisi da finanziaria a economica. La perdita di solidità delle banche, infatti, ha provocato l’interruzione dell’afflusso di liquidità all’economia reale, provocando così un’inevitabile recessione.

Si è dunque preso atto, in questo ultimo decennio, delle difficoltà per le banche di continuare a fornire finanziamenti all’economia reale, cercando di scongiurare il rischio di fallimenti a catena, che comporterebbe danni ancora maggiori alla salute finanziaria dei risparmiatori. I settori in cui s’intende agire con la normativa sovranazionale sono quelli che effettivamente rappresentano le fondamenta di un sistema stabile e sono di fatto l’uno motore dell’altro: il valore aggiunto delle piccole e medie imprese ovvero quelle che la normativa europea definisce con meno di 50 milioni di fatturato, fino a 250 dipendenti e gli investimenti finanziari. Secondo il Parlamento europeo il mondo delle piccole, medie e microimprese (Pmi) costituisce il 99 per cento delle imprese della Ue. Queste forniscono due terzi dei posti di lavoro nel settore privato, operano soprattutto a livello nazionale e contribuiscono a più della metà del valore aggiunto totale creato dalle imprese dell’Unione europea.

L’Osservatorio nazionale del Cerved e di Confindustria, che ogni anno pubblica un importante Rapporto regionale Pmi, ci rappresenta nella sua ultima edizione del 2020, una galassia di 156mila società italiane, che impiegano tra i 10 e i 249 addetti, e con un giro d’affari compreso tra 2 e 50 milioni di euro. L’eccessiva esposizione delle Pmi nei confronti del canale bancario è un fenomeno che ha acuito fortemente la loro focalizzazione sul breve periodo, ostacolando lo sviluppo in un’ottica di lungo termine, funzionale al perseguimento di obiettivi di crescita e miglioramento degli attivi aziendali e, quindi, dei valori delle imprese.

A questo si aggiunga che gli effetti della crisi hanno indotto le autorità di vigilanza a imporre alle banche regole ancora più rigorose per l’erogazione del credito. I requisiti sempre più stringenti di Basilea II e III hanno avuto l’effetto di un’ulteriore contrazione dei prestiti concessi alle piccole e medie imprese. I sistemi tipicamente bancocentrici (come quello italiano, dove il fabbisogno finanziario coperto da banche è pari al 90 per cento, rispetto a una media europea del 60 per cento) ne sono usciti fortemente compromessi nella loro stabilità.

Il sistema bancario non è più in grado di sostenere le esigenze delle Pmi che si affacciano oggi a nuove soluzioni e a nuovi partner finanziari in grado di supportarne la gestione ordinaria e le scelte strategiche. Ecco, quindi, che le società di gestione del risparmio rappresentano delle valide alternative a sostegno dell’economia che andranno a sopperire, attraverso strumenti sempre più innovativi ed efficienti, alle lacune del sistema bancario. Le iniziative delle società di gestione di tutto il mondo a sostegno dell’economia reale stanno crescendo esponenzialmente e i fondi di Private Market sono ormai una realtà e una valida opportunità anche per gli investitori che, in questo modo, contribuiscono ad aiutare il sistema e parallelamente mettono i propri capitali al riparo della volatilità dei mercati e alla ricerca di performance più interessanti.

Aggiornato il 08 novembre 2022 alle ore 09:27