Il presidente di Acciaierie Italiane (ex Ilva), Franco Bernabè, intervenendo al XVII Congresso Uilm ha denunciato la forte criticità del gruppo con gravi problemi di accesso al credito e con impegni finanziari, da parte dei soci, non mantenuti. Come, solo a titolo di esempio, i famosi 700 milioni stanziati dal decreto legge Aiuti bis mai arrivati. In particolare, il presidente Bernabè è stato molto esplicito: “I 700 milioni non li abbiamo ancora visti né abbiamo visto nessuno dei finanziamenti che il Governo ha stabilito di dare ad Acciaierie d’Italia. Sicuramente ci saranno e li utilizzeremo, ma fino ad ora devo dire che Acciaierie sono state gestite in una situazione che in tanti anni di esperienza non ho mai visto senza accesso al credito, senza finanziamenti degli azionisti”.
Ricordo che Bernabè rappresenta il socio pubblico, cioè colui che dovrebbe davvero garantire gli impegni assunti e finora non mantenuti dallo Stato. Devo riconoscere al presidente Franco Bernabè un apprezzabile coraggio nel dichiarare: “Abbiamo fatto uno sforzo importante per mantenere una azienda che è stata abbandonata per 7 anni, gestita da due commercialisti e un avvocato per 7 anni; ma come ha potuto sopravvivere un’azienda in queste condizioni? Tuttavia, stiamo sviluppando un piano di emergenza per far fronte alle difficoltà che abbiamo e che continueremo ad avere. Soprattutto, stiamo lavorando ad una diversificazione delle fonti di approvvigionamento del gas per tutelare la continuità produttiva”.
A queste parole, da me anticipate non una settimana fa, non un mese fa ma sette mesi fa, si aggiungono quelle del segretario generale della Uilm, Rocco Palombella che, sempre nel Congresso, ha precisato: “Gli impianti di Taranto, Genova e Novi sono quasi in una situazione di non ritorno, la produzione è ai minimi storici, mancano le risorse finanziarie per la gestione ordinaria degli impianti, gli investimenti ambientali e tecnologici sono ridotti al lumicino e 3mila lavoratori sono in cassa integrazione dall’inizio di marzo. A questi si aggiungono i 1.700 dell’Amministrazione straordinaria in cassa integrazione da oltre 4 anni (ripeto quattro anni) e l’indotto che è quello più colpito. La situazione rischia di precipitare da un momento all’altro”.
Non posso per correttezza mediatica non riportare anche quanto affermato dall’Amministratrice delegata, Lucia Morselli: “Nessun investimento è stato fermato. Tutti gli investimenti sono stati confermati e con il piano ambientale siamo leggermente in anticipo. L’emergenza gas con i prezzi lievitati e la sua penuria porterà qualche cambiamento, ma nulla che possa compromettere il futuro dello stabilimento. Anzi, probabilmente ne usciremo più forti”. Appare evidente che questo commento tranquillizzi solo la dottoressa Morselli. È chiaro, ripeto, che questa affermazione convinca solo, e per pochi attimi, la dottoressa Morselli.
Non voglio insistere, ricordando che quanto ammesso dal presidente Bernabè e dal sindacato era noto e da me anticipato in tre distinti articoli (sette mesi fa, tre mesi fa e 45 giorni fa). Intendo invece ancora una volta denunciare il comportamento della Regione Puglia e, in particolare, del suo presidente Michele Emiliano. Mi chiedo, infatti, come possa ancora accettare che la sua giunta sia supportata dal Movimento Cinque Stelle. Sì, da quel Movimento che con l’allora ex ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio e con l’ex ministra del Sud e della coesione territoriale, Barbara Lezzi, erano stati artefici di una serie di rivisitazioni contrattuali che in realtà hanno generato in buona parte le criticità che stiamo vivendo in questa fase. Né possiamo dimenticare le ripetute assicurazioni dell’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sia nel primo Governo con la Lega che nel secondo con il Pd, assicurazioni che si sono verificate inesistenti.
Ma tornando al presidente Michele Emiliano mi chiedo perché in Conferenza Stato-Regioni non solo non ha sollevato questa emergenza, ma perché non ha subito coinvolto tutte le Regioni del Mezzogiorno, ribadendo formalmente che c’è solo un modo per salvare o, almeno tentare di salvare, il centro siderurgico: utilizzare subito una quota rilevante delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027. A Taranto occorrono subito, per evitare davvero la chiusura irreversibile dell’impianto, non 400 milioni, non 700 milioni ma almeno 4 miliardi di euro.
Più volte ho rammentato che l’assenza degli organi locali, cioè della Regione e del Comune di Taranto, l’assenza di un sindacato cosciente della gravità del momento (un momento che dura da cinque anni) sta solo predisponendo le condizioni per l’esplosione di una bomba sociale che spero, essendo io un cittadino di quella terra, non accada mai. Perché 25mila persone (questo è ormai il numero stimato delle persone che vivono direttamente ed indirettamente una simile crisi ormai storica) possano ritornare nella normalità è necessario che:
– gli impegni assunti anche dall’ultimo Governo Draghi si trasformino in atti compiuti;
– il supporto finanziario sia davvero accettabile, cioè raggiunga una quota di almeno 3,5 miliardi di euro;
– il sindacato istituisca un organo di controllo in stretta collaborazione con il ministero dell’Economia delle Finanze che, disponendo di un nuovo strumento di controllo sull’avanzamento degli investimenti (il cervellone Regis), possa fornire i reali avanzamenti di quanto deciso programmaticamente;
– la Regione Puglia e il Comune di Taranto cambino il mediocre e indifendibile comportamento finora seguito, basato essenzialmente sul ricorso sistematico a forme mediatiche inutili ed inconcludenti.
C’è un nuovo Governo e, purtroppo, non ci sarà più il supporto garante a livello nazionale che internazionale dell’ex presidente Draghi. Allora, verranno al pettine gli inutili comportamenti del presidente della Regione, Michele Emiliano, del sindaco Rinaldo Melucci e della limitata azione di contestazione del sindacato, non di quello locale ma di quello nazionale. Più volte, infatti, mi sono chiesto dove è e cosa abbia fatto finora il segretario della Cgil, Maurizio Landini. La gente della mia terra, ormai, non pone più nessuna fiducia in coloro che da cinque anni assicurano praticamente il nulla.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 07 novembre 2022 alle ore 11:48