La nuova risoluzione stragiudiziale della crisi d’impresa

In una contingenza storica come quella degli ultimi anni, caratterizzata dalla crisi pandemica e dalla conseguente crisi economica, il diritto italiano ha dovuto velocizzare i tempi per allinearsi alle normative vigenti nell’Unione europea, attuando l’adeguamento della normativa nazionale alla Direttiva (Ue) n. 1023/2019 (Direttiva Insolvency), con lo scopo di fronteggiare la crisi economica delle imprese e risollevare le aziende e anche le persone fisiche, dal sovra-indebitamento, tentando di ridurre al minimo gli effetti negativi in termini produttivi e occupazionali. Proprio per i succitati motivi, è stato approvato il decreto legislativo 83/2022, in attuazione della delega contenuta nella legge 53/2021, che ha dato alla luce il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Un codice che ha abbandonato definitivamente l’impostazione giuridico-filosofica basata sul diritto fallimentare, per sposare in pieno una visione bivalente protesa da un lato a trovare rimedi stragiudiziali che possano prevenire la crisi e l’insolvenza e dall’altro a gestire la liquidazione dell’impresa insolvente nel modo meno traumatico da un punto di vista giudiziale.

Con la riforma del diritto fallimentare è stato introdotto un innovativo istituto, decisamente inedito nell’ordinamento italiano; si tratta della composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, che ha sostituito le misure di allerta e del relativo procedimento. La composizione negoziata è definita come un percorso e quindi non una procedura, ossia un istituto che pacificamente non integra una procedura concorsuale, ma egualmente implica preclusioni alle azioni di tutela del credito, qualora si faccia la scelta unilaterale del regime protettivo e del controllo del tribunale. Il succitato istituto è attivabile su base esclusivamente volontaria, sebbene l’organo di controllo societario abbia la funzione di segnalare agli amministratori la presenza dei presupposti per l’istanza di cui all’articolo 17 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (nel prosieguo, anche “CCII”), ma l’invito dei sindaci rimane comunque circoscritto nella sfera inter-organica societaria.

Ovviamente, rimante sempre vigente il dovere di vigilanza (ex articolo 2403 c.c.) in presenza di eventuali trattative e sono prese in considerazione la tempestiva segnalazione all’organo amministrativo e la vigilanza sull’andamento delle trattative come esimenti o attenuanti riguardo alla responsabilità prevista dall’articolo 2407 c.c.

L’articolo 12, comma 1, CCII, stabilisce che l’imprenditore commerciale o agricolo che si trova in una situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario può chiedere al segretario generale della camera di commercio, del luogo in cui vi è la sede legale della sua azienda, la nomina di un esperto indipendente, nel momento in cui la propria attività sebbene presenti le caratteristiche di una probabile crisi o insolvenza, risulti ragionevolmente perseguibile il suo risanamento. Il suddetto esperto è dotato dei requisiti di professionalità e d’indipendenza, citati nell’articolo 16 del CCII e svolge la funzione di facilitare le trattative tra l’imprenditore in uno stato di squilibrio patrimoniale e i creditori, insieme agli altri soggetti eventualmente interessati, per risolvere la situazione di crisi. Quindi, egli va ad affiancare l’imprenditore coadiuvandolo nella ricerca di soluzioni fattive per risolvere la crisi in atto; la sua nomina non determina né l’apertura del concorso dei creditori e tanto meno lo spossessamento del patrimonio dell’imprenditore in crisi, cui è permesso, in tal modo, di proseguire la sua gestione ordinaria e straordinaria imprenditoriale, con i relativi pagamenti spontanei.

Con la composizione negoziata (nel prosieguo, anche “Istituto”) si intende agevolare, anche tramite il “facilitatore” esperto indipendente, il risanamento delle imprese che versano in uno stato di squilibrio economico-finanziario, affinché, evitandone la probabile crisi o insolvenza imminenti, possano proseguire le proprie attività produttive non uscendo dal mercato di riferimento.

L’Istituto è caratterizzato dal fatto che è completamente estraneo al circuito giudiziale ed è previsto, ex lege, che rimanga coperto da riserbo, salvo che l’imprenditore intenda fruire delle misure protettive (ex articolo 18 CCII) di rinegoziazioni contrattuali (ex articolo 12 CCII) o finanziamenti prededucibili. Invero, l’articolo 16, comma 6, del CCII, prevede che ogni soggetto coinvolto nel negoziato debba osservare rigorosamente l’obbligo di riservatezza sulla condizione di crisi dell’impresa e su tutti i tentativi assunti per risolverle da parte dell’imprenditore.

Secondo quanto finora esposto, passando all’analisi del presupposto soggettivo dell’Istituto, si evince dalla nuova normativa di riferimento che non sussistono requisiti dimensionali per accedere alla composizione negoziata, in quanto essa è stata istituita affinché possa essere utilizzata da tutte le imprese che si trovano in uno stato di crisi o d’insolvenza, purché esse siano iscritte nel registro delle imprese, incluse le società agricole.

Per quanto riguarda, invece, l’elemento oggettivo dell’Istituto, l’articolo 12, comma1, del CCII lo individua nelle condizioni di squilibrio economico, ossia in quelle cause prodromiche alla crisi o all’insolvenza dell’impresa. Quindi, recte, con l’utilizzo dell’Istituto della composizione negoziata, l’imprenditore insolvente continua a gestire l’impresa nel prevalente interesse dei creditori in modo tale da non pregiudicarne la sostenibilità economico-finanziaria, ma, come già precedentemente accennato, deve trattarsi di un’insolvenza reversibile in quanto l’Istituto è finalizzato a risolvere le crisi di imprese connotate da una concreta prospettiva di risanamento, ovvero imprese che si trovano in uno stato prospettico di equilibrio economico.

Aggiornato il 07 novembre 2022 alle ore 09:37