La Banca centrale europea ha aumentato a luglio i tassi di interesse di 50 punti base e di altri 75 a settembre. Si tratta di una politica monetaria restrittiva, che consiste nel ridurre la quantità di denaro circolante nel mercato al fine di aumentarne il costo e frenare l’inflazione. La decisione della presidente della Bce Christine Lagarde è condivisa dalle principali banche centrali del mondo, ma mette in evidenza un problema cronico del tessuto imprenditoriale italiano: molte imprese sono di piccole dimensioni e dispongono di capitali insufficienti per fare fronte alle sfide globali. Così, le piccole e medie imprese italiane si trovano ora tra l’incudine dell’inflazione e il martello di una politica monetaria necessaria per arginarla che, tuttavia, nel frattempo fa aumentare il costo del debito.
Le difficoltà con cui le Pmi italiane hanno accesso a capitali terzi non dipendono solamente dalle loro dimensioni. Tradizionalmente le aziende italiane preferiscono ricorrere all’autofinanziamento anziché all’emissione di azioni e questo fenomeno è dovuto anche al loro modello di gestione, spesso basato su realtà familiari. La difficoltà a reperire liquidità dal mercato finanziario potrebbe essere compensata dal sistema bancario, che però si rivela ormai insufficiente a causa delle condizioni patrimoniali e reddituali in cui anch’esso versa tali da non renderlo in grado di sostenere da solo il tessuto imprenditoriale italiano. È in questo contesto che arrivano le prime due strette monetarie dalla Bce dal 2011 e che si archivia la stagione dei Quantitative Easing sistematici e pandemici, che hanno avuto importanti effetti negli ultimi anni, ma che vanno visti come misure eccezionali e, quindi, di durata contenuta.
Per questo, per le imprese italiane riuscire a raccogliere investimenti privati dai mercati finanziari, e non solo prestiti bancari, è talvolta una necessità per rimanere competitive in molti settori. Nel 2017 il Legislatore ha introdotto i Piani individuali di risparmio (Pir) al fine di incentivare gli investimenti nelle Pmi italiane. I Pir sono strumenti di investimento studiati per incanalare il risparmio privato nelle piccole e medie imprese italiane con importanti vantaggi fiscali per gli investitori. La Legge di Bilancio 2022 ha previsto un aumento della soglia massima che il singolo può investire, che passa da 150 a 200mila euro per i Pir ordinari (indirizzati a famiglie e piccoli investitori) e l’eliminazione del vincolo che impediva di detenere più di un Pir alternativo (categoria studiata per investitori più esperti). Le proposte dei partiti per elezioni del 25 settembre mostrano la presenza di una volontà politica di introdurre ulteriori incentivi per avvicinare i risparmiatori italiani ai Piani individuali di risparmio, novità che potrebbero essere introdotte dal nuovo Esecutivo in termini di benefici fiscali aggiuntivi o maggiore flessibilità per investitori e imprese.
I Pir rappresentano anche un valido scudo alla volatilità dei mercati finanziari, che quest’anno ha raggiunto i massimi dal 2014, grazie all’impegno a lungo termine chiesto ai sottoscrittori. Infatti, gli investitori devono mantenere i Pir nel loro portafoglio per almeno 5 anni per avere diritto all’esenzione dalla tassazione sui rendimenti e dalle imposte di successione. Allo stesso tempo, la propensione a sottoscrivere dei Piani individuali di risparmio è negativamente influenzata dalla volatilità dei mercati; quindi, un ulteriore rafforzamento dei Pir può essere importante per mantenere o aumentare l’interesse degli italiani verso questo prodotto finanziario. Inoltre, i benefici non si limitano al sistema finanziario. Infatti, per accedere ai fondi dei Pir, le imprese devono convincere gli investitori con business plan di medio-lungo termine e un sistema di gestione che coinvolga esperienze anche al di fuori di quelle familiari. Così, pure il modello manageriale si deve rendere più adatto a dimensioni aziendali maggiori, aprendo nuove prospettive di crescita per le imprese italiane e quindi per la nostra economia. Per questo, i Piani individuali di risparmio, se ben sostenuti, possono rappresentare una leva importante per il rilancio del tessuto imprenditoriale, oltre che sopperire alla difficoltà con cui le banche possono concedere credito alle imprese, con conseguente crescita del Pil che renderebbe più sostenibile il debito pubblico.
Aggiornato il 23 settembre 2022 alle ore 17:06