Bitcoin: labirinto o paradiso

Bitcoin, Ethereum, crypto, cripto-asset, Blockchain. Per lungimiranti imprenditori un comparto in forte sviluppo che offre opportunità al momento infinite, per la “gente comune”, il consumatore, l’utente è un affascinante e insidioso labirinto, in cui ingenuamente “entrare” ricchi di speranze. Per scellerati truffatori è, invece – grazie all’assenza di precise regolamentazioni e di attenti organismi di vigilanza – una sorta di Paradiso, digitale, in terra. Una terra di nessuno. Senza regole e, talvolta – troppo spesso! – senza né etica né morale.

Persino il G20, qualche giorno fa, ha annunciato la necessità di un robusto regolamento globale sulle cryptovalute e i suoi derivati, anticipando che il Financial stability board (Fsb) sta lavorando in tal senso e, nel prossimo ottobre, riferirà le sue raccomandazioni, le sue linee guida ai ministri delle finanze dei Paesi membri del G20. Dovrà, negli intenti dichiarati da parte dell’Fsb, scaturire una regolamentazione che allinei ogni Stato sui canoni di un quadro normativo capace di introdurre nel comparto, che conta ormai oltre 10mila “crypto-attività”, quelle garanzie oggi proprie del mercato finanziario, definiamolo, tradizionale.

Qualcosa, a livello globale, si muove. Si muoverà anche in Italia? Forse, ma nei soliti tempi biblici. A dire il vero, del grande potenziale di questo innovativo comparto finanziario-digitale il legislatore romano se ne è accorto. Ma, almeno per ora, perpetrando un insuperabile vizio italico, gli unici progetti di legge che hanno varcato la soglia del Parlamento sono quelli mirati a definire una tassazione sugli utili, sulle plusvalenze conquistate dai contribuenti, lasciati soli e indifesi nel mezzo di una insidiosa “jungla”: “prede” da tassare quando il “predatore” di turno non riesce ad “azzannarli”.

“Dobbiamo intervenire ora per ricondurre le cripto-attività all’interno di un quadro normativo chiaro, a beneficio dell’intera società”, spiegava Fabio Panetta, membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, nell’aprile scorso in un vasto intervento fatto alla Columbia University. Più lungimirante è stata la piccola Repubblica di San Marino che già dal 2019 ha varato una normativa attenta e garantista, sia del consumatore che, di riflesso, dell’imprenditore, con tanto di ente certificatore (San Marino Innovation) e di vigilanza. Una normativa che ha trasformato in un istante il Monte Titano in “Terra promessa” di programmatori con idee innovative da trasformare in business digitale a tanti zeri. Un business – si ricordi – certificato e vigilato da un Ente pubblico in grado di tutelare, come già detto, sia il “consumatore” che l’investimento imprenditoriale. Infatti, se le recenti vicende rimbalzate sulle cronache evidenziano casi in cui la “vittima” di questa insidiosa “jungla”, dove il “consumatore” rappresenta l’ultimo anello della “catena alimentare”, è il “cliente”, la tutela dell’investimento fatto da imprenditori seri su business digitali, sostenibili e innovativi è a sua volta ad alto rischio.

Una normativa chiara, attenta ed efficace non può prescindere dall’introdurre anche precisi canoni in tal senso: è indispensabile se, in questa – economicamente – martoriata Italia, non si vuole perdere questa opportunità data da un settore che si preannuncia essere uno dei comparti trainanti della finanza del futuro. Eloquente esempio, in tal senso, viene proprio dalla Repubblica di San Marino e da una vicenda che si è abbattuta su una delle più innovative realtà attratte proprio dalla regolamentazione del mondo crypto e crypto-asset e salite sul Titano per concretizzare il progetto “Mintlayer”, un nuovo sistema di finanza decentralizzata (DeFi), ideato da un italiano, Enrico Rubboli (Ceo e Core Developer), ma del quale beneficeranno le casse pubbliche sammarinesi non presentando l’Italia le garanzie normative per ospitare questa tipologia di business. “Mintlayer” non è una crypto, ma un token, ovvero una sorta di “diritto di utilizzo” pressoché unico nel suo genere. Un tempo esistevano i gettoni telefonici e venivano comunemente utilizzati anche come metodo di pagamento, al pari delle 200 lire. Ecco, il token è una sorta di gettone, un titolo il cui valore è legato all’utilizzo stabilito, ad esempio al valore della crypto di riferimento.

Dove sta il vantaggio e, quindi, il business, vien da chiedersi. Sta nella semplificazione dei pesanti ed “energivori” codici necessari in ogni operazione condotta direttamente con le crypto, che innalza il progetto, oltre ai canoni di sicurezza determinati dalla regolamentazione, dalla certificazione dell'attività e dalla vigilanza, ad una ecosostenibilità oggi non certo trascurabile. Non è un caso che ancor prima dello start vero e proprio dell’attività, in una sorta di prevendita, il successo della proposta presso l’utenza abbia riscosso un successo ben altre le più rosee previsioni. Tanto che gli introiti derivanti da questa hanno permesso all’azienda biancazzurra di reperire tutte le risorse necessarie alla fase di startup. Ma non tutte le ciambelle, è noto, riescono col buco. Quando tutto sembrava pronto per il lancio sul mercato, un problema tecnico gela i vertici aziendali che, dopo un confronto con i “purchaser” più rilevanti, ovvero coloro che avevano aderito alla proposta di prevendita (a sua volta regolamentata da precisi contratti), si vedono costretti a ridefinire la road map e rinviare il lancio di Mintlayer. Ciò avviene in un momento di tensione interna, fra i vertici aziendali e un paio di collaboratori, che culmina con l’allontanamento dei due che – sostiene una denuncia depositata nei giorni scorsi al Tribunale del Titano – avrebbero intravisto in questo “intoppo” tecnico l’opportunità di “scippare” il business, prima delegittimando attraverso la diffamazione presso gli stessi “purchaser” l’azienda su cui avevano riposto fiducia e poi proponendo direttamente agli stessi la medesima tipologia di business.

Addirittura, si legge nell’esposto-denuncia, avrebbero anche registrato in Liechtenstein il dominio Mintlayer, pur con una “estensione-web” diversa dall’originale. Una azione, quella dei due ex collaboratori denunciati – l’italiano ADL, abbastanza noto blogger di settore, e AK, accusati di tentata estorsione (solo il secondo), diffamazione, concorrenza sleale e furto di know-how- che avrebbe distrutto l’azienda in quattro e quattrotto, vanificando tre anni di investimenti e lavoro.

Non sarà così, invece, sul Titano, perché la regolamentazione che ha imposto una attenta vigilanza fin dalle primissime fasi di attività, finalizzata in primis a proteggere il “consumatore”, l’utente finale del crypto-asset, diviene una tutela importante, determinante, decisiva anche per l’azienda nella tutela del suo operato, del suo business e della sua immagine. Sarà il Tribunale sammarinese, in ogni caso, anche grazie alla vigilanza a cui la società privata è stata sottoposta con attenzione fin dalla prima fase di startup, a districare questa incresciosa vicenda. E, per fortuna degli investitori e dei “consumatori”, il tutto avviene a San Marino, perché in assenza di una regolamentazione precisa, la denunciata diffamazione finalizzata a un piano di “scippo” del know-how, da sola, sarebbe stata in grado di compromettere il business al pari dell'investimento; l’azienda sarebbe immediatamente finita in bancarotta e i “purchase” – nel caso “consumatori” – sarebbero rimasti a mani vuote.

Aggiornato il 18 luglio 2022 alle ore 12:09