Correva l’anno 2020, era il mese di aprile e a Bruxelles c’erano riunioni interessanti tutte propedeutiche alla definizione di quel programma che oggi chiamiamo Piano nazionale di ripresa e resilienza. Se leggiamo gli atti degli incontri, sia di aprile che di maggio, scopriamo una serie di apprezzabili raccomandazioni che alti funzionari della Unione europea rivolgevano ai nostri ministri e, in alcuni casi addirittura, all’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. La raccomandazione di base era che il Pnrr doveva avere, per quanto concerne la sua attuazione, un preciso e definito arco temporale e che, stimando in un anno il tempo necessario per la messa a punto delle riforme, il periodo di attuazione organica e concreta non doveva superare un quinquennio. Dopo una serie di riunioni, anche accese, si decise che la scadenza finale dell’intero Piano doveva avvenire entro il 31 dicembre del 2026.
Ma a questa scadenza si aggiunsero una serie di raccomandazioni che ritengo utile, per le cose che dirò dopo, riportare di seguito:
– sarà necessario, soprattutto per il comparto delle infrastrutture, dare immediata conclusione al lavoro relativo al nuovo Codice degli appalti, non solo nello snellimento delle procedure, non solo nel contenimento dei tempi autorizzativi, ma soprattutto nella disponibilità di nuovi strumenti come il Partenariato pubblico-privato e il Canone di disponibilità;
– le proposte progettuali devono essere caratterizzate da un’ampia organicità e funzionalità, cioè non lotti di opere e non tratte parzialmente utili per limitati ambiti territoriali;
– l’intero Piano e in modo particolare le proposte presenti nel comparto delle infrastrutture dovranno rispondere a un preciso codice comportamentale: essere significativamente organiche. Cioè, le reti ferroviarie e stradali dovranno essere interconnesse con hub logistici (porti, interporti ed aeroporti) funzionali alla crescita ed allo sviluppo della domanda;
– preso atto dei tempi limitati, sarà bene inserire proposte progettuali già supportate da progetti di fattibilità e su cui sono in corso o sono già disponibili apposite Valutazioni ambientali strategiche.
Nel mese di giugno del 2020 si definì una prima bozza di Pnrr con un elenco di opere che sono, più o meno, rimaste le stesse. Il commissario europeo, Paolo Gentiloni, conoscendo l’elenco di possibili opere e con la sua esperienza di ministro degli Esteri, di presidente del Consiglio e di assessore al Comune di Roma e quindi consapevole delle nostre inerzie procedurali, si preoccupò subito del rischio della reale attuazione di un simile Piano entro la fine del 2026. In particolare, convinto che si sarebbero potute rispettare tali scadenze solo per le opere già in avanzata fase di realizzazione, nell’autunno del 2020 venne in Italia e, nel Parlamento italiano, tenne un vero seminario alle Commissioni competenti della Camera e del Senato. Nell’occasione (non allego il suo intervento perché è abbastanza lungo), spiegò chiaramente come l’Unione europea desiderava che si costruisse il Pnrr. E ribadì, ancora una volta, l’importanza di tre componenti:
– la organicità delle proposte;
– la realizzazione di opere complete e non di lotti;
– l’urgenza di disporre di progetti di fattibilità supportati da valutazione ambientale strategica.
Ebbene, sarebbe per me facile prendere in esame le varie proposte infrastrutturali presenti nel Pnrr, per dimostrare la sostanziale distanza dalla serie di raccomandazioni dell’Unione europea, ma ritengo più utile e incisivo prendere come esempio lo stato di avanzamento di un’opera che penso testimoni, in modo chiaro, il rischio reale che, come accennato in un ultimo mio intervento, l’Ue non annulli tali risorse. Ma ci consenta di trasferirle ad altre finalità, quali l’attuazione di un Piano energetico nazionale. Il progetto che ho preso come esempio è quello relativo al nuovo collegamento ferroviario ad Alta velocità Roma-Pescara.
La storia del progetto ferroviario ad Alta velocità Roma-Pescara, di cui il Pnrr assegna un contributo per la realizzazione di un primo lotto funzionale di circa 600 milioni su un valore globale dell’opera di circa 6,5 miliardi di euro, è davvero emblematica di quanto sia praticamente impossibile, nel nostro Paese, passare da una intuizione progettuale a un’opera concreta. E quanto sia difficile passare dal progetto al cantiere. Infatti, era pronto lo studio di fattibilità ed era anche definito un apposito cronoprogramma, quando il senatore Luciano D’Alfonso, presidente della Commissione Finanze del Senato ed ex presidente della Regione Abruzzo, ha fatto presente che andava cambiato il tracciato. E ha precisato: “Le opere pubbliche importanti hanno bisogno del consenso locale. L’articolo 117, comma 3, della Costituzione dice che i tracciati delle grandi opere ferroviarie e di comunicazione sono definite dalle Regioni con atti formali o da intese Regioni-Governo. A decidere il tracciato devono essere Abruzzo e Lazio. Non è possibile che scelte di questo tipo arrivino da Roma”. Così D’Alfonso ha prospettato anche un dettagliato itinerario operativo: “Facciamo in modo che Abruzzo e Lazio attivino comunicazioni con delibere di giunta, attraverso documenti dei Consigli regionali e leggi regionali, se necessarie. Gli Enti locali si sono già messi all’opera, perché il percorso ferroviario sia valido e validato. Il dibattito pubblico a Pescara ha individuato problemi e delineato soluzioni. Qualora non si dovesse arrivare ad un accordo – ha precisato sempre il senatore D’Alfonso – c’è un’ultima chance: una riunione del Consiglio dei ministri, partecipata dalle Regioni per trovare una soluzione finale. Adesso l’importante è avere un atteggiamento propositivo non rinunciatario”.
Avendo vissuto una esperienza non facile nel lontano 1992 con l’approvazione del tracciato dell’Alta velocità, avendo dovuto sostenere oltre novanta Conferenze dei servizi con la partecipazione di oltre 142 Comuni (ricordo all’epoca le Conferenze si ritenevano concluse solo alla unanimità), comprendo benissimo le dichiarazioni del Senatore D’Alfonso. E temo anche che, rimanendo solo a disposizione poco più di quattro anni, sarà difficile evitare il trasferimento di tali risorse in altre finalità. Tuttavia, ho voluto prendere questa opera come esempio, non solo per l’allungamento dei tempi legato a vincoli territoriali, quanto per la mancata coerenza dell’intervento alla volontà comunitaria: parte, infatti, solo un lotto e non si completa un’opera organica.
Nasce spontanea una domanda: ma il ponte sullo Stretto era un’opera organica? La risposta è sì. Era un’opera pronta per essere cantierata? La risposta è sì. Gli italiani non si meraviglieranno di simili incongruenze perché abituati. Il contesto comunitario, invece, misurerà ancora una volta la nostra capacità a superare le emergenze (vedi il viadotto di Genova) e, al tempo stesso, la nostra incapacità a dare attuazione a scelte programmatiche rientranti nella normalità.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 16 giugno 2022 alle ore 10:45