Che fine hanno fatto i sussidi ambientalmente dannosi? La loro abolizione è la promessa più ricorrente e meno mantenuta nei documenti di finanza pubblica. Il governo ha fatto un timido passo in occasione del decreto Sostegni ter, che ha cancellato tre sussidi (riduzione dell’accisa sul carburante impiegato nei trasporti ferroviari, defiscalizzazione della produzione di magnesio da acqua di mare e riduzione delle accise per le navi che fanno movimentazione dentro i porti). Totale: una manciata di milioni di euro. Mentre il catalogo pubblicato periodicamente dal ministero della Transizione ecologica conta sussidi per decine di miliardi. Sarebbe facile concludere con una filippica contro lo scarso coraggio dell’esecutivo. Ma, come molte arringhe facili e acchiappa-like, anche questa sarebbe sbagliata.
Intendiamoci: tra le tante distorsioni presenti nel nostro ordinamento tributario, molte hanno anche effetti sull’ambiente, incentivando l’utilizzo di tecnologie, processi o combustibili inquinanti e penalizzando quelli puliti. Quindi fare ordine è una manovra utile sia dal punto di vista economico sia ambientale. Solo che, per arrivare al risultato, bisogna prendere le mosse da una comprensione corretta del problema. Ed è proprio quello che manca. Il catalogo del Mite usa una definizione ampia e vaga di “sussidio”, sicché mette nel calderone anche scelte di natura fiscale che nulla hanno a che vedere col finanziamento di attività inquinanti. Il caso più clamoroso è quello del diverso trattamento fiscale di benzina e gasolio: poiché l’accisa sul diesel è inferiore a quella sulla benzina, il Mite considera questa differenza come un sussidio al gasolio. E, all’obiezione che con questo principio il sussidio potrebbe essere rimosso semplicemente tagliando l’accisa sulla benzina, ribatte che no, bisogna proprio alzare le tasse sul diesel. Tutto ciò accade a febbraio 2022, in piena crisi energetica e alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina.
Risultato: mentre il governo con la mano sinistra prometteva il taglio dei sussidi e chiedeva addirittura l’inasprimento della fiscalità sui carburanti, con la mano destra invece si muoveva in tutt’altra (e più ragionevole) direzione. Tagliando di 25 centesimi le accise su benzina e gasolio, e mantenendo immutata la distanza tra i due balzelli. Contemporaneamente, varava un piano senza precedenti di riduzione dei costi dell’energia a carico della fiscalità generale, che nell’arco di circa un anno (da maggio 2021 a maggio 2022) ha già assorbito o sta per assorbire circa 25 miliardi di euro. Si può essere favorevoli o scettici su questo approccio: noi dell’Ibl abbiamo già avuto modo di esprimere varie perplessità per la sua natura regressiva e perché attenua i segnali di prezzo legati alla crisi in essere.
Ma è certamente bizzarro che la politica insista nella retorica del taglio dei sussidi ambientalmente dannosi, proprio mentre mette in atto la più grande campagna di sussidi ambientalmente dannosi (secondo la definizione del Mite) che si sia mai vista nella storia nazionale. Ed è una curiosa forma di bipensiero quella che ha spinto le Camere, all’atto di convertire questi decreti straripanti di sussidi, ad approvare contestualmente mozioni e ordini del giorno che impegnavano il governo (non ridete) a “proseguire (sic!) con la progressiva riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi”. Anziché oscillare tra una retorica infondata e moralista e una prassi distorsiva, sarebbe meglio mettere a fuoco l’una e l’altra: definire in modo più sensato cosa è “sussidio” e perché è “ambientalmente dannoso” ed essere meno di manica larga nell’erogazione di aiuti e agevolazioni. Ne guadagnerebbero l’ambiente, l’erario e la qualità del dibattito pubblico.
(*) Direttore Studi e Ricerche Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 02 maggio 2022 alle ore 12:11