I profitti possono essere eccessivi. Le tasse, in Italia, mai. O, almeno, questa è l’impressione che viene leggendo il dibattito scatenato dalla scelta del Governo di introdurre un’imposta straordinaria del 10 per cento sui presunti extraprofitti delle imprese operanti nel settore dell’energia.
Subito il capo politico del Movimento Cinque stelle, Giuseppe Conte, ha rilanciato: almeno il 25 per cento! Il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha proposto il 30 per cento. Il segretario di Azione, Carlo Calenda, il 50 per cento. Stefano Fassina, deputato di Liberi e Uguali, addirittura il 100 per cento. C’è, dietro questa rincorsa all’aliquota più grossa, tutta la cifra di un Paese per il quale ancora oggi tutto è nello Stato e nulla è al di fuori di esso. L’idea è che i profitti straordinariamente alti devono per forza derivare da un abuso. Contemporaneamente, nessuno vuole prendersi la briga di dimostrare tale abuso e di rimuovere i comportamenti che l’hanno determinato. Si preferisce la scorciatoia del tollerare l’abuso (sempre presunto e mai provato) purché i suoi frutti siano goduti anche dalle casse pubbliche.
La verità è che, fino a prova contraria, nessun abuso è stato commesso. I prezzi dell’energia derivano da condizioni eccezionali di scarsità e di incertezza: le une causate anche da scelte politiche (per esempio gli ostacoli all’estrazione di gas dal sottosuolo nazionale), le altre dall’invasione dell’Ucraina. In questo contesto, tutti dicono che servono urgentemente nuovi investimenti per aumentare l’offerta; ma poi il premio di tali investimenti, cioè appunto i profitti, viene espropriato dallo Stato. Ed è impressionante, ma non stupefacente, che nessuno dei leader politici che si sono affrettati a rilanciare sull’aliquota si sia preso la briga di guardare come il Governo abbia definito la base imponibile, in modo punitivo e distorto.
In un Paese che non ha più il senso delle proporzioni né del ridicolo, verrebbe quasi da puntare ancora più in alto: per simmetria con le detrazioni edilizie, perché non imporre una tassa del 110 per cento? In fondo, lo stesso Stato – che premia alcuni investimenti con un credito superiore al valore nominale dei lavori – può anche esigere una tassa superiore al valore presunto degli extraprofitti. Disclaimer: è una battuta. Lo diciamo perché siamo consapevoli che qualcuno potrebbe prenderci sul serio.
Aggiornato il 21 aprile 2022 alle ore 09:53