La terribile e angosciante guerra sul campo viene affiancata da un conflitto finanziario avviato con le sanzioni e il ricorso al sistema Swift per congelare la finanza russa, che ora risponde con la richiesta di ottenere in rubli i pagamenti della sua energia, del gas e del petrolio: un miliardo di dollari al giorno. Si presenta il petrorublo accanto al petrodollaro nella guerra monetaria?
Per capire la valenza di questa operazione funzionale a sostenere il rublo, ma anche in modo incisivo a un processo di de-dollarizzazione insieme alla Cina, è utile ricordare l’arrivo del petrodollaro e del sistema Swift. Il petrodollaro nasce nel 1973 unitamente allo Swift per sostenere il dollaro, la cui stampa nel 1971 viene staccata dal sottostante oro, creando un sistema monetario infinito basato sul dollaro e a rischio di tempeste inflattive. Il sistema fino ad allora in vigore era il “Gold exchange standard” che legava la stampa di cartamoneta a una determinata quantità di oro (36 dollari ogni oncia di oro) definito negli accordi del 1944 a Bretton Woods, per evitare tempeste monetarie. Fino al 1971 il sistema ha dato stabilità monetaria negli scambi internazionali: il dollaro valeva 630/4 lire, l’inflazione era bassa, il 4 per cento, così come il debito sul Pil, 33 per cento. Ma la guerra del Vietnam e i disordini interni hanno obbligato gli Usa a stampare cartamoneta senza avere l’oro necessario per mantenere l’equilibrio, così nel 1971 Richard Nixon dichiarò unilateralmente la fine di quel sistema, dando l’avvio alla rivoluzione finanziaria sempre meno controllata che ci avrebbe investito come uno tsunami.
L’immediato effetto fu l’innalzamento dell’inflazione per i volumi di cartamoneta stampata senza sottostante, così per non fare la fine della Germania della Repubblica di Weimar del 1923 – stroncata dall’inflazione – era necessario creare, fittiziamente, la crescente domanda di dollari stampati senza sottostante. Gli arabi vengono convinti a farsi pagare il petrolio solo in dollari, in cambio di protezione e si crea il petrodollaro saldato dal sistema Swift, che vincola il sistema di scambi internazionali al dollaro. Il dollaro diventa la moneta globale di riferimento e le altre monete sono costrette a deprezzarsi e ad accettare un ruolo ancillare. L’evoluzione dei sistemi economici ha cambiato le condizioni che consentivano al dollaro un uso quasi esclusivo nelle transazioni finanziarie unitamente, ma in misura ridotta, anche per l’euro. L’evoluzione geopolitica ha rafforzato altre economie, la Cina per prima, che hanno progressivamente condiviso un progetto di de-dollarizzazione per potere usare in alternativa le loro valute. Gli accordi sul tavolo riguardano lo scambio in valuta locale del petrolio tra Iran, Stati Arabi e la Cina che potrebbe pagare le forniture in yuan così come l’India con la Russia, che possono regolare i loro scambi nelle loro valute. Va sottolineata, come già scritto su queste colonne, la rincorsa all’oro di Cina e Russia per ritornare a dare un sottostante in oro alle loro valute: la Cina ha già emesso dei “futures” legati all’oro. La Cina e la Russia hanno già ridotto dal 90 per cento al 40 per cento gli scambi in dollari.
L’avvio di un sistema di pagamento legato a valute alternative al dollaro ne abbatte la domanda che serve a sostenere quella valuta e rischia di avviare un processo inflattivo, come si vede ora, insieme a una sua possibile svalutazione, l’oncia di oro vale più di 2000 dollari. Gli Usa, in questo modo, rischiano di avere una minore domanda di dollari, a fronte di un’offerta di dollari senza limiti ed è evidente che, qualora il processo di de-dollarizzazione venga ulteriormente avviato, il dollaro dovrà fare i conti con una sua crescente debolezza per la logica che determina l’equilibrio tra domanda e offerta di moneta. Come sosteneva Carl von Clausewitz, la politica diventa guerra drammatica sul campo e monetaria nei mercati finanziari, le due guerre procedono sullo stesso piano, creando un disordine non solo nei principi di tutela delle persone con la guerra sul campo ma anche con lo squilibrio nelle economie globali.
(*) Professore ordinario di Economia aziendale – Università Bocconi
Aggiornato il 28 marzo 2022 alle ore 18:00