Nei manuali di Economia politica e di Politica economica i cicli economici si caratterizzano in fasi: recessione, stagnazione e crescita. La recessione è una fase in cui l’attività produttiva, sia quella manifatturiera che i servizi, subisce delle contrazioni con la conseguenza di ridurre il Pil in termini reali. Un Paese è considerato tecnicamente in recessione quando per due trimestri consecutivi il Pil reale si riduce. Per Pil reale si intende il Reddito nazionale lordo nominale depurato dall’inflazione calcolata dall’Istat. La riduzione dell’attività produttiva comporta un incremento della disoccupazione, una perdita del reddito e una contrazione dei consumi. Generalmente, nella teoria economica la recessione raffredda i prezzi e quindi produce inflazione.
La stagnazione si caratterizza per una crescita molto bassa, quasi impercettibile (lo zero virgola). L’Italia è stata in stagnazione per oltre un ventennio. Ha fatto eccezione il periodo post lockdown dove, a fronte di una forte riduzione del Pil, c’è stato un significativo rimbalzo dell’economia e del reddito nazionale del 6,2 per cento (che però non ha recuperato la perdita del Pil nel periodo della pandemia).
La crescita economica si riferisce a periodi, più o meno lunghi, di significativo aumento della produzione e del Pil. Una lunga fase espansiva della crescita genera un surriscaldamento dell’economia e dei prezzi che, naturalmente, provoca inflazione. La stagflazione (stagnazione più inflazione) è una situazione anomala del ciclo economico in cui, contemporaneamente, si verificano una impennata dei prezzi (tipica dei periodi di espansione) e una bassa crescita dell’economia che, in linea teorica, non dovrebbe comportare perdita di potere d’acquisto.
Quello della stagflazione è stato un fenomeno che si è verificato intorno agli anni Sessanta e non aveva precedenti storici nei Paesi a economia di mercato. Nei momenti di recessione o di stagnazione, le Banche centrali intervengono con politiche monetarie anticicliche. Lo strumento tecnico utilizzato è la riduzione dei tassi d’interesse. Una politica monetaria accomodante di bassi tassi d’interesse fa crescere la propensione al consumo delle famiglie ed è da stimolo per gli investimenti delle imprese.
La Federal Reserve americana ha di recente aumentato il tasso d’interesse ufficiale di 25 punti base (0,25 per cento). La motivazione addotta dal presidente della Banca centrale americana è quella di ridurre l’inflazione statunitense, che ha raggiunto livelli che non si vedevano da decenni. Evidentemente, ha considerato che l’impatto negativo della guerra in Ucraina avrà un peso marginale sull’economia americana. La Banca centrale europea, nella persona del suo governatore, non sembra ancora avere le idee chiare su come intervenire. Gli indicatori macroeconomici che anticipano il trend sembrano indicare una importante riduzione dell’attività produttiva in Europa e, in particolare, in Germania e in Italia. Le previsioni, a mio modesto avviso, sono troppo ottimistiche e prospettano una contenuta riduzione della crescita del Pil per il 2022.
Il paradosso è che, in poco tempo, si è passati dalla deflazione (riduzione generalizzata dei prezzi), elemento molto negativo per l’economia, a una inflazione potenzialmente galoppante che, in parte, era giustificata dalla crescita economica che aveva provocato l’incremento dei prezzi delle materie prime. La stagflazione è la condizione più devastante per l’economia. Prepariamoci al peggio!
Aggiornato il 23 marzo 2022 alle ore 10:26