L’8 febbraio 2022, la Camera dei deputati ha approvato in via definitiva – praticamente all’unanimità, nell’indifferenza generale – il disegno di legge di riforma costituzionale che introduce importanti modifiche agli articoli 9 e 41 Costituzione L’ideologia verde, che nulla ha a che spartire con la sana ecologia umana, entra così al livello più alto della legislazione italiana, iscrivendo un’ipoteca pericolosa per il nostro futuro. Il legislatore ordinario e qualche corrente giurisprudenziale se ne potrebbero servire per imporre limitazioni indebite della proprietà privata e restrizioni discrezionali alla libertà di persone e imprese, alterando la concorrenza e piegandola a interessi di parte o a visioni utopistiche. Le recenti modifiche introdotte agli articoli 9 e 41 della Costituzione sono già state oggetto di disamina in questo sito da parte di Francesco Mario Agnoli. Vista la rilevanza del tema, dopo averle ricordate per comodità del lettore, vorrei introdurre alcuni ulteriori spunti di riflessione.
Nella versione originaria dell’articolo 9 Costituzione – che rientra nella sezione dei princìpi fondamentali, quindi particolarmente rilevanti –, comparivano i seguenti due punti: “1. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. 2. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione”. Ora è stato aggiunto un terzo comma, che recita così: “3. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Ci si è allontanati da una visione “culturale” centrata sull’uomo, per andare verso una vaga prospettiva “biocentrica”: l’essere umano non è più il vertice della creazione ma soltanto una delle tante specie che abitano il pianeta e quindi, come propone il cosiddetto antispecismo, non “qualitativamente” superiore per status e valore agli altri animali. Il rischio è il superamento della prospettiva giudaico-cristiana, nella quale il mondo è stato donato all’uomo, fatto “a immagine e somiglianza” di Dio (Gn 1,26-27) “perché lo lavorasse e lo custodisse” (Gn 2,15), non già per trasformarlo in un museo o per idolatrarlo come una divinità neopagana.
Nel nuovo dettato costituzionale, il senso gerarchico del Creato passa in secondo piano, e il focus si sposta sulla necessità e urgenza di “salvare il pianeta”, ovviamente “dall’uomo”, anziché “custodire il creato”, che dell’uomo è la dimora. L’ecologicamente corretto potrebbe incarnarsi in leggi ordinarie che impongono alle generazioni presenti dei sacrifici irrazionali sull’altare di Gaia, nel nome di un futuro utopico (anzi, distopico)? La preoccupazione è lecita, viste le posizioni del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che ha definito l’essere umano “biologicamente” come “un parassita perché consuma energia senza produrre nulla”, in un mondo “progettato per tre miliardi di persone”: dalla transizione “ecologica” alla transizione “ideologica” il passo è breve.
Papa Benedetto XVI nel discorso al Reichstag di Berlino del 22 settembre 2011 ha fornito la prospettiva corretta per inquadrare le tematiche ambientali: “L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente. Vorrei però affrontare con forza un punto che – mi pare – venga trascurato oggi come ieri: esiste anche un’ecologia dell’uomo. Anche l’uomo possiede una natura che deve rispettare e che non può manipolare a piacere. L’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea sé stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura, e la sua volontà è giusta quando egli rispetta la natura, la ascolta e quando accetta sé stesso per quello che è, e che non si è creato da sé. Proprio così e soltanto così si realizza la vera libertà umana”.
Il giusto rispetto per il creato, in altre parole, non può essere disgiunto dall’amore per l’essere umano che passa necessariamente dalla promozione della famiglia e della vita, dalla nascita naturale alla morte naturale. Considerare l’uomo come “un parassita” e contrastare in ogni modo la demografia è semplicemente l’opposto dell’autentica “ecologia umana”: per di più, ed è un paradosso, “nell’interesse delle future generazioni”.
Per quanto riguarda invece l’articolo 41 Costituzione – che rientra nella parte dedicata ai “diritti e doveri dei cittadini”, nel Titolo III dei “rapporti economici” – vengono inseriti alcuni incisi nei commi 2 e 3 (in grassetto nel testo): “1. L’iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. “L’ambiente” entra, e allo stesso livello dell’essere umano, tra i “soggetti di diritto”, e quindi meritevoli di tutela, giustificando così future limitazioni alla proprietà privata e alla libertà di iniziativa, potenzialmente anche pesanti vista l’indeterminatezza del nuovo dettato costituzionale.
Le modifiche introdotte nel nostro ordinamento si pongono in linea con la normativa europea: la Carta di Nizza, che rappresenta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, stabilisce infatti nell’articolo 37 che “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”. La politica comunitaria e gli obiettivi ambientali sono disciplinati anche nel Tfue-Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, all’articolo 191. Per non parlare dell’Agenda Onu 2030 sul cosiddetto “sviluppo sostenibile”, di cui le questioni “ambientali” costituiscono il pilastro principale.
In questa sede vorrei attirare l’attenzione sugli aspetti di tipo economico. Innanzitutto, occorre sottolineare che il testo costituzionale – frutto di un compromesso in Assemblea costituente tra più istanze: liberali, cattoliche, marxiste – già prima delle recenti modifiche conteneva degli elementi suscettibili di interpretazione in senso più o meno “dirigistico” e lato sensu “socialista”, come la storia economica del secondo dopoguerra ha ampiamente dimostrato. La legislazione ordinaria, in coerenza con lo spirito interventistico ravvisabile nel testo costituzionale fin dalle origini, ha infatti prodotto fino a oggi in materia economica un insieme tanto ampio quanto disorganico e farraginoso di leggi e leggine, con contraddizioni, vuoti e sovrapposizioni che ne rendono estremamente ardua l’interpretazione e l’applicazione.
Sul piano contenutistico, si è progressivamente formato un complesso meccanismo di “lacci e lacciuoli”, che ha costituito un serio ostacolo al libero e leale svolgimento dell’attività economica dei privati: quest’ultimi sono stati così incentivati – talvolta costretti – alla ricerca di “vie traverse” e di collusioni con il potere politico, nelle sue varie articolazioni territoriali, per riuscire a districarsi dai molteplici impedimenti senza perdere in competitività, ma anche per ottenere sovvenzioni indebite che ultimamente ricadono inevitabilmente su contribuenti e consumatori. Utili privati e perdite pubbliche, insomma, nella prospettiva del cosiddetto capitalismo clientelare.
Le modifiche green recentemente introdotte sono così “alte” e così vaghe, che il Parlamento d’ora in poi potrà dare prova di fantasia e creatività nell’escogitare sempre nuove regole, restrizioni e tasse, da un lato; nonché concedere incentivi e prebende, dall’altro; per non parlare degli spazi che si aprono alla giurisprudenza costituzionalmente orientata. Oltre alla libertà di iniziativa economica, la minaccia si potrebbe estendere anche alla proprietà privata: il nuovo testo costituzionale consentirebbe di varare leggi che mettono fuori mercato non solo veicoli “troppo” inquinanti ma anche abitazioni con classe energetica ritenuta “troppo” bassa, come anche l’imposizione di tasse pesanti per frenare quei consumi giudicati poco “verdi”, per via di emissioni di CO2 ritenute eccessive; e chissà cos’altro in futuro, magari anche imporre dei lockdown energetici, giustificandoli con nuove “emergenze climatiche”.
Le novità introdotte aumentano ulteriormente i rischi pianificatori, di derive dirigistiche e di controllo, con gravi falsificazioni della concorrenza: a vantaggio di quelle industrie che saranno favorite dai piani di investimento pubblici previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (a debito e spesati su tutti i cittadini) e dai risparmi privati, convogliati dalla cosiddetta “finanza sostenibile” Esg (acronimo di Envinronmental, Social, Governance); a sfavore di altre industrie, che si è deciso di “liquidare” progressivamente, con un processo di “distruzione creatrice”, non certo frutto di un leale confronto di mercato per selezionare i migliori ma con decisioni politiche dall’alto. Tanti tasselli di un progetto di reset globale dei sistemi sociali, economici e politici, in veloce fase di implementazione grazie “all’opportunità” fornita dalla confusione e debolezza del sistema sociale, economico e politico post-Covid.
Alla luce dell’esplosione dei prezzi delle materie prime negli ultimi mesi, a partire da quelle energetiche – accentuata, ma non originata, dalle recenti tensioni geo-politiche legate al conflitto in Ucraina – si dovrebbe imporre con realismo un’urgente revisione delle priorità, anche nella prospettiva della “sicurezza energetica” dell’Italia e dell’intero continente europeo: il Green New Deal europeo può attendere.
(*) Tratto dal Centro studi Rosario Livatino
Aggiornato il 11 marzo 2022 alle ore 11:29