Sistema italiano del gas: dalla sicurezza fisica a quella commerciale

La crisi energetica manifestatasi nei prezzi delle forniture gonfiatesi oltremisura e nella sicurezza stessa degli approvvigionamenti di gas, viene da lontano ed è figlia della miopia dell’azione programmatoria della nostra classe dirigente e politica. Non è infatti una novità che sin dalla ristrutturazione del “parco centrali” del primo decennio di questo secolo, anche per l’assenza del nucleare, ci si è tutti concentrati su un’unica fonte primaria, il gas, impiegato per ogni tipo di uso: produzione elettrica, industria e residenziale. Scelta imposta per interesse delle grandi major italiane ed europee, che hanno preferito la modalità di rifornimento prevalentemente via pipeline. Al riguardo, fu clamorosa la defezione di Bp che, dopo ben 10 anni di trattative con la poco lungimirante Regione Puglia per l’installazione di un rigassificatore a Brindisi, dovette cedere, facendo perdere all’Italia un partner commerciale e tecnologico preziosissimo. S’imponeva il gasdotto a guida Eni ed Edison (ormai francese e interessatissima al mercato gas italiano in vista del decommissioning sul proprio nucleare) che hanno istallato con le benedizioni e – in parte – i soldi europei il Tap (Trans adriatic pipeline).

Il Belpaese ha un consumo annuo di gas attestatosi, nell’ultimo triennio, fra i 70 e i 75 miliardi di standard metro cubo (mld di smc), tornato ai livelli di inizio decennio scorso, dopo il tonfo prolungato che l’aveva portato al minimo di poco meno 62 mld. Con tali consumi copre poco meno del 70 per cento della generazione elettrica istallata (25 mld di smc ossia il 33 per cento di tutto il gas consumato); poi c’è l’industria ormai attestatasi su 11-12 mld di smc, ossia meno del 16 per cento (a riprova della perdita di competitività del Paese e principale causa della contrazione interna dei consumi) e naturalmente, quasi tutto il residenziale con ben il 40 per cento per oltre 28 mld smc. La parte restante va in impieghi minori (agricoltura, autotrazione) e perdite di rete.

La principale modalità di approvvigionamento è attraverso pipeline, infrastruttura su cui gli italiani hanno un eccezionale know-how, avendo realizzato con la Saipem, sin dal lontanissimo 1981, il primo gasdotto sottomarino. Le linee sono, con la realizzazione del Tap nel 2020, piuttosto ben bilanciate sia geograficamente che per Paese di provenienza. Riportiamo il seguente schema che sintetizza bene la situazione:

Nazione di provenienza

Gas importato

% del consumo italiano

Miliardi di metri cubi

Russia

28,5

40,70%

Algeria

15,1

21,50%

Libia

4,4

6,20%

Norvegia

6,9

9,80%

Qatar

6,9

9.8%

Stati Uniti

1,7

2,40%

Produzione Nazionale

4,1

5,80%

Altri

2,7

3,80%

(Fonte: Bilancio Gas Naturale Mise 2020)

Le cose non sono molto cambiate rispetto al 2020, salvo il livello della dipendenza da import che è salita di un marcato 6,8 per cento con crescita soprattutto dall’Algeria, naturale partner “bilanciere” della Russia. La scelta miope di disporre di tre soli rigassificatori, sulla base del calo pluriennale dei consumi interni di gas – senza diversificare le modalità di fornitura o più ancora senza costruire un’alternativa tecnica e metodologica alla fonte primaria di gas, per esempio con un Piano delle rinnovabili programmato per le tre tipologie di utenza (generazione, industria e residenziale) – ha condotto il nostro Paese a una forte esposizione al rialzo prezzi e, più ancora, al serio rischio di approvvigionarsi a sufficienza nell’ipotesi in cui si combinino insieme più fattori di rischio, magari di diversa natura (tecnica, politica, economica).

Attualmente, il sistema di sicurezza degli approvvigionamenti ed erogazione gas si basa sulla semplice formula dell’N-1, ossia a parità di altri fattori (coeteris paribus) il sistema, anche perdendo una sua infrastruttura (pipeline, stazione di ricompressione, nodo di smistamento) per mancato funzionamento, è in grado di mantenere invariati i flussi di fornitura e, quindi, i livelli dei prezzi. Si tratta perciò di interruzioni contenute nella durata e nelle quantità. Di base, intervengono due elementi compensativi: un maggior import dagli altri punti di importazione tramite gasdotti e rigassificatori (in tutto sono nove i punti di prelievo dall’esterno della Penisola) e/o un maggior prelievo dai diversi campi di stoccaggio che sono disseminati nel territorio nazionale. È successo negli anni passati che si presentasse anche l’evenienza di un doppio impedimento, non necessariamente nel nostro territorio, come per esempio la rottura della stazione di Mellitah, in Libia, e una riduzione dei livelli di import da est, causati dai difficili rapporti fra Russia e Ucraina. Malgrado ciò, il Sistema energetico, nella sua interezza è riuscito a “tenere”, fino ad ora. Si sta infatti concretizzando come sempre più probabile l’ipotesi di una risultante di eventi, anche dal lato domanda, che potrebbero rendere durevole, sebbene non permanente, l’aumento dei prezzi, per insufficienza di flusso gas ovvero, caso ancor più grave, l’interruzione della fornitura per una parte della domanda. Va infatti tenuto presente che, anche aumentando la compressione del gas nei tubi, questa ha un limite sia di sicurezza oltreché di operatività, e l’infrastruttura può sostenerla per periodi brevi, onde evitare nuove ulteriori rotture. Il primo parametro che va tenuto presente è la richiesta giornaliera di gas da parte dell’utenza, la quale nella fase critica che va dal 20 gennaio al 10 marzo – ossia quando le nostre riserve sono maggiormente intaccate – si aggira mediamente intorno ai 300 mln di smc al giorno. Questo è il primo fattore di rischio per il quale se si dovesse verificare una rottura nel periodo indicato, sarebbe quello di maggior richiesta giornaliera, sia per le condizioni climatiche (freddo e poca luce) aggiunte a un periodo privo di festività. Inoltre, le nostre riserve di stoccaggio sono generalmente piuttosto basse, in quanto per procedura standard si riempiono in estate e si esauriscono progressivamente in inverno. Quando si è in febbraio, sono appunto scarse e può risultare complesso ricaricarle rapidamente. Inoltre, c’è sempre il rischio del “generale inverno”, che può infliggere un colpo di coda e causare un brusco calo delle temperature. Si fa notare che questi elementi di rischio testé ricordati sono, per così dire, di “routine” cioè ordinari, ossia si verificano senza che si debba essere già manifestata una complicazione tecnica, come una rottura o un’inefficienza.

Il problema di fondo, non risolvibile in tempi brevi (meno di 5 anni), specie in Italia, è la storica dipendenza del Paese da Stati esteri per l’approvvigionamento di risorse energetiche e l’esagerato uso cronico del gas impiegato per qualunque tipo di uso. Ad esempio, pensare per il riscaldamento residenziale di abbandonare il gas a favore dell’elettrico non è fattibile nella stragrande maggioranza delle abitazioni già esistenti. La quota attuale d’impiego del gas rimarrà sostanzialmente invariata nel prossimo decennio. Anzi, per gli impieghi da trazione crescerà.

Ci sarebbe il potenziamento delle rinnovabili nella generazione elettrica. Tuttavia, a fronte della mancanza di nuovi incentivi, diretti o indiretti (sia per il repowering che per l’installazione di nuove centrali) da una parte e l’impossibilità di stoccaggio, specie di potenza, per periodi superiori alle 24 ore, rendono la vita difficile alla crescita delle Fer di potenza. L’unica eccezione potrebbe essere l’installazione di piccoli ma diffusi impianti per le esigenze domestiche o condominiali, magari dando vita alle famose “isole energetiche di produzione e consumo”. Malgrado ciò, finora non ci si è riusciti, se non in pochissimi casi. In un simile scenario l’unica via possibile per far fronte all’emergenza energetica (sia di forniture che di prezzi) è quella di riparametrare permanentemente il meccanismo di sicurezza del Sistema energetico italiano (gas ed elettrico, visto che sono integrati) portandolo a una condizione di sicurezza N-2. La novità sarebbe quindi duplice: sia nella crescita impiantistica (parametro quantitativo), che nella sinergia con il sistema elettrico (parametro modale).

La prima misura, propria del settore gas, è l’aggiunta di ulteriori campi di stoccaggio e/o rigassificatori, da riempire in estate, alle migliori condizioni economiche possibili, e da tenere come riserva commercialenon di sicurezza che già esiste – per disporre, in prima istanza, di un surplus di gas per quel mese critico. Volendo pensare un po’ più a lungo termine, si potrebbe destinare tale riserva per qualunque emergenza del periodo invernale e perciò farla più grande. Una valutazione approssimata per tale arco di tempo, la stimerebbe fra i 2 e i 3,5 mld di smc. Potrebbe essere organizzata in un mix di 2 o 3 campi di stoccaggio ed 1 o 2 rigassificatori in più. Peraltro, tutti progetti noti e, in linea di massima, approvati dal Mise 10-15 anni fa! Ma poi rimasti sulla carta per le solite mille difficoltà italiane (burocrazia, comitati del “No”, scarsità della domanda interna che giustificasse l’investimento, brevità temporale e debolezza politica dei vari Governi, e, non da ultimo, più di due anni di pandemia). Tecnicamente, non sarebbe neanche complesso realizzarli; il vero problema sono i costi di realizzazione e la natura della gestione di tale riserva commerciale: di chi sono i campi di stoccaggio? Di un privato che li affitta per una pre-determinata finalità d’uso? Oppure viene condiviso stoccaggio e riserva in proporzione della quota di mercato di cui si dispone? In quest’ultima eccezione, i costi sarebbero scaricati sui consumatori come ennesima tassa per l’utenza? Oppure verrebbero pagati solo in caso di necessità e perciò sulla base del consumo? E in tal caso con quali tariffe?

Non esiste, ne potrebbe esistere, un mercato dellemergenza commerciale. C’è, da oltre un decennio, un prezzo per il prelievo emergenziale, fissato dalla Autorità, relativo alla riserva strategica; ma è altra caso, perché si tratta di scarsità fisiche. Qual è il benchmark di riferimento per le emergenze commerciali, cioè quelle che si registrano in assenza di squilibri quantitativi fra domanda e offerta unica e vera causa di fondo per le variazioni di prezzo? Si potrebbe considerare il valore del gas per emergenze commerciali quello espresso al Psv, perché il prezzo più vicino al momento della consegna (day-ahead), oppure, nella stessa logica, quello della piattaforma di borsa Mtg, che è quella relativa alla consegna. Il primo è una piattaforma Otc per contrattazioni bilaterali, non regolamentata, il secondo è il mercato regolamentato per la compravendita di gas all’ingrosso. E poi è presente una quotazione sulla piattaforma Mercato gas di stoccaggio (Mgs) che però sta si rivelando controproducente.

Partendo dal fatto gli operatori proprietari dei campi di stoccaggio sono solo due e che gli stessi sono per quanto fin qui detto troppo pochi, il prezzo espresso che indica il costo per l’immagazzinamento e l’estrazione del gas nel giorno di riferimento è a vantaggio solo delle major e non dei consumatori, in quanto risulta essere una misura della capacità (limitata), difficilmente variabile, che non fornisce indicazioni della scarsità della merce che al 95 per cento viene importato dall’estero. Indica semplicemente il costo del servizio che cresce alle pressioni della domanda, cioè d’inverno. Perciò il sistema degli stoccaggi che era l’elemento di compensazione dei flussi fra estate e inverno e di calmieraggio dei prezzi si è trasformato in uno strumento di speculazione.

Al contrario, ciò che serve ai consumatori italiani è disporre di un surplus di gas, già allocato nella propria Penisola e disponibile nelle fasi critiche a un prezzo non emergenziale. Ma tale obiettivo non sarà mai raggiunto, se le infrastrutture italiane andranno a rispondere alla domanda degli altri Paesi europei, in primis Francia e Germania, che così spingeranno al rialzo il prezzo imponendogli delle dinamiche inflazioniste, non riflettenti le condizioni del nostro mercato interno. A nostro avviso, per le questioni di emergenza, sia di sicurezza (approvvigionamenti) che commerciali (escalation dei prezzi) la formula del prezzo amministrato per ogni fase del servizio è la migliore, visto la particolarità del mercato energetico combinato con lo stato di necessità.

L’altra grande linea d’azione concerne la strutturazione del Sistema energetico in una durevole condizione di N-2. Poiché, come visto, il gas serve tutti e tre i settori (generazione elettrica, industria e residenziale), si necessita di un più alto livello di sicurezza, interfacciato con gli altri settori, in primis l’elettrico. La finalità è quella di impedire che si realizzi un crash generalizzato per una disfunzione tecnica, vista la complessità del Sistema integrato oppure, per causa di altra natura, si impenni il prezzo ma senza che la Domanda nazionale abbia aumentato i propri consumi. (Emergenza commerciale). Si noti poi che nei consumi elettrici il picco invernale – normalmente la seconda settimana di dicembre – è stato affiancato e superato da quello estivo, periodo nel quale sebbene non ci sia il consumo gas per riscaldamento e ad agosto ci sia la pausa estiva generalizzata, s’impone ovunque l’extra consumo elettrico per raffrescamento degli ambienti. E in più gli stoccaggi sono al minimo e si ripristina proprio in estate il loro livello. L’elemento positivo sono le rinnovabili, sebbene con molte limitazioni ambientali, in estate c’è scarsità di precipitazioni e di vento, quindi l’idroelettrico e l’eolico in-shore possono presentare cali di produzione.

Una simile evenienza ci porta a considerare la condizione N-2 in una forma più articolata, non limitata a una sola e il semplice incremento delle disponibilità di riserve. Sarebbe forse più opportuno calibrare meglio le riserve aggiuntive, ma migliorare gli altri sistemi import, per quanto concerne il gas e potenziare l’articolazione del parco generativo nel settore elettrico, non lasciando l’architettura di tale strategico settore all’iniziativa privata, ma rimettendola in mano a una programmazione centrale. Ad esempio, si potrebbe pensare a una allocazione strategica degli impianti Fer in ragione dei prelievi e della facilità di trasmissione. Al riguardo di quest’ultimo punto, si ricorda la vergognosa imposta indiretta, presente nelle nostre bollette da quando c’è il libero mercato, che ci impone un pagamento extra del 10 per cento per perdite di rete! Sono passati oltre 15 anni, si sono fatti diversi interventi migliorativi e di potenziamento, eppure paghiamo sempre un 10 per cento addizionale di perdite di rete.

In conclusione, la sicurezza commerciale si realizza attraverso quella infrastrutturale, accrescendo gli asset e armonizzando i due sistemi (gas ed elettrico), mantenendo un’adeguata impermeabilità alla pressione della domanda europea che fa delle nostre riserve le proprie. L’obiettivo finale è quello di permettere la realizzazione di scelta dei consumatori (famiglie, “partite Iva”, Pmi) che vedono stravolti i loro contratti di fornitura, a causa del potere riconosciuto, alla compagine dell’offerta, di modificare unilateralmente e senza penali le proprie condizioni di vendita. E ciò avviene per non specificati motivi estranei al contratto e sopraggiunti dopo il momento della stipula. In questo stato di cose, venditori salvano i propri margini di profitto, mentre gli acquirenti cedono soldi e potere negoziale nell’impossibilità di trovare una condizione pari o migliore, in un contesto di mercato non ancora sufficientemente concorrenziale.

Aggiornato il 03 marzo 2022 alle ore 12:10